domenica 22 febbraio 2009

DALL'UOMO VECCHIO ALL'UOMO NUOVO: UN PASSAGGIO DA COMPIERE

DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA

Da un insegnamento tenuto a Rimini il 26 aprile 1985, durante l'VIII Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo


A sentire descrivere questa nuova esistenza suscitata dallo Spirito e tutta basata sull'amore, tanti, forse, si sono innamorati di essa. Proprio questo voleva ottenere la Parola di Dio: suscitare in noi il desiderio ardente di appartenere a questo nuovo mondo. Accanto al desiderio, però, può essere affiorato anche un senso di scetticismo e di scoraggiamento: dov'è, qualcuno si chiede, quella libertà, quella capacità di amare e di osservare i comandamenti? Dov'è quella vita nuova? P dunque tutto solo una bella, ma astratta teoria? E perché alcuni raggiungono tale vita nuova e tale libertà, mentire altri no?

S. Paolo risponde con poche parole a tutte queste domande nel seguito del suo testo: "Se con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere della carne, vivrete!" (Rm 8,13). E' stata pronunciata, così, la parola-chiave: mortificazione. Dall'uomo vecchio all'uomo nuovo c'è un solo ponte e questo ponte si chiama mortificazione. Ecco dove comincia la parte propriamente nostra. Lo Spirito "dà la vita", ci ha detto l'Apostolo all'inizio del suo testo, ma la dà "attraverso la mortificazione", ci dice ora al termine di esso. Il battesimo ha fatto di noi degli uomini nuovi; ma questa novità, per mantenersi, deve essa stessa rinnovarsi di giorno in giorno (cfr. 2 Cor 4,16). "Non pensare - scriveva Origene - che basti essere rinnovati una volta sola; bisogna rinnovare la stessa novità: 'Ipsa novitas innovanda est` (Origene, In Rom. 5,8; PG 14, 1042). La mortificazione dell'uomo vecchio è la condizione perché ci sia questo continuo rinnovamento.

Lo Spirito dunque dà la vita, ma la dà attraverso la morte. Come per Gesù! Egli fu "messo a morte nella carne" e per questo Dio lo rese "vivo nello Spirito" (cfr. I Pt 3,18). Il vero uomo nuovo è Gesù; non si può pervenire a essere uomini nuovi, se non "diventandogli conforme nella morte" (cfr. Fil 3, 10). "Se con lui moriamo, con lui anche vivremo" (2 Tm 2,11).

Quando noi parliamo della vita nuova nello Spirito, corriamo sempre il rischio di intendere tale espressione alla maniera umana, come un potenziamento e un accrescimento della precedente vita, come una risposta al nostro naturale bisogno e istinto di vivere, come una nuova ondata di vitalità che ci pervade piacevolmente corpo e anima. Invece vita nuova indica qualcosa di completamente diverso e più radicale; indica, alla lettera, una nuova vita, una vita che comincia daccapo, dopo l'intervento di una morte, Un viandante può dire di avere imboccato una via "nuova" in due sensi: o perché la via che percorreva prima è stata rinnovata, asfaltata, raddrizzata, o perché la via che percorreva prima è arrivata a una svolta e si è affacciata su un'altra strada. La vita nuova nello Spirito è nuova in questo secondo senso.

Accostiamoci dunque e guardiamo con atteggiamento nuovo questo volto della mortificazione che ci fa tanta paura. Gesù, una volta, disse: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto" (Gv 15,1-2). La mortificazione ha la stessa funzione che ha la potatura. In noi è stato innestato, nel battesimo, un germe di vita nuova. Guardiamo cosa avviene in agricoltura, quando si pratica un innesto. Per un po' di tempo, si lascia sussistere il resto dell'albero, perché non muoia il vecchio e il nuovo. Ma una volta che l'innesto ha attecchito e ha messo le prime gemme, il contadino taglia, pota, uno ad uno, tutti i rami dell'albero vecchio, altrimenti tutta la forza dell'albero sarà assorbita da essi e servirà a produrre solo i frutti selvatici che produceva prima.

Anche in noi permane, dopo il battesimo, il vecchio albero che è l'uomo vecchio. I suoi rami sono le diverse passioni e i suoi frutti selvatici sono le opere della carne. Di essi l'Apostolo ci dà, altrove, un elenco, dicendo che i frutti della carne sono: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere (cfr. Gal 5,19-21).

La santità, come la scultura, si ottiene, "per arte di levare", cioè eliminando le parti inutili. Si racconta che un giorno Michelangelo, passeggiando in un cortile di Firenze, vide un blocco di marmo grezzo ricoperto di polvere e fango. Si fermò di scatto a guardarlo, poi, come rischiarato da un improvviso lampo, disse ai presenti: "In questo masso di pietra è nascosto un angelo: voglio tirarlo fuori!". E si mise a lavorare di scalpello per dare forma all'angelo che aveva intravisto.

Così è anche di noi. Noi siamo ancora dei massi di pietra grezza, con addosso tanta "terra" e tanti pezzi inutili. Dio Padre ci guarda e dice: 1n questo pezzo di pietra è nascosta l'immagine del mio Figlio; voglio tirarla fuori, perché brilli in eterno accanto a me in cielo!". Se d'ora in poi sentiamo dei colpi di scalpello e vediamo dei pezzi di noi cadere a terra, cerchiamo di non ingannarci più. Non continuiamo a dire: "Che ho fatto di male? Perché Dio mi castiga così". Sforziamoci, piuttosto, di dire a noi stessi: "E' Dio che mi ama e vuole formare in me l'immagine del suo Gesù. Resisti, anima mia!". La croce è lo scalpello con cui Dio sci plasma i suoi eletti. E stato sempre così.

I più generosi, non solo sopportano i colpi di scalpello che vengono dall'esterno, ma collaborano anch'essi, per quanto è loro concesso, imponendosi delle piccole, o grandi, mortificazioni volontarie e spezzando la loro volontà vecchia. "Se vogliamo essere completamente liberati - diceva un Padre del deserto - impariamo a spezzare la nostra volontà, e cosi, poco a poco, con l'aiuto di Dio, avanzeremo e arriveremo alla piena liberazione dalle passioni. E' possibile spezzare dieci volte la propria volontà in un tempo brevissimo e vi dico come. Uno sta passeggiando e vede qualcosa; il suo pensiero gli dice: 'Guarda là!', ma lui risponde al suo pensiero: 'No, non guardo!', e spezza la sua velontà' (Doroteo di Gaza, Insegnamenti 1,20; SCh 92, p. 177).

Questo Padre porta esempi tratti dalla vita monastica che però è facile adattare ad altri stati di vita, per esempio a quello dei giovani. C'è uno spettacolo malsano alla televisione, un manifesto provocante sul muro, una rivista pornografica a portata di mano: l'uomo vecchio ti dice: "Guarda!" e ti fornisce contemporaneamente cento pretesti e scuse per farlo. Ma tu rispondi: "No!" e spezzi la tua volontà. C'è una discussione frivola tra amici; si sta parlando male di qualcuno: il tuo uomo vecchio ti dice: "Partecipa anche tu; di' quello che sai. Ma tu rispondi: "No!". E mortifichi l'uomo vecchio. Passi accanto a un compagno, a una compagna che non ami o che non ti ama e che ti è antipatico; il tuo orgoglio ti dice: "Stai sulle tue, e non rivolgergli la parola!". E tu invece fai un sorriso, dai un saluto, e vinci te stesso, spezzando il tuo orgoglio. Incontri un povero, magari un forestiero, che sai ti chiederà qualcosa; vorresti tirare diritto o cambiare strada, invece gli vai incontro per amore di Gesù: hai fatto vincere l'uomo nuovo.

Molte nobili battaglie vengono additate, oggigiorno, da molte parti, ai giovani: guerra alla droga, alla fame, alle ingiustizie, all'inquinamento, guerra alla guerra... Gesù ne addita ad essi una che è diversa da tutte le altre, senza la quale tutte le altre non sono che dei palliativi: la guerra al proprio "io", all'uomo vecchio. La guerra contro se stessi.

Nel battesimo e nella cresima (e poi nell'effusione dello Spirito che ha rinnovato, in molti di noi, questi sacramenti), noi siamo stati consacrati soldati di Cristo. Ma non dobbiamo ingannarci. t questa anzitutto la guerra per la quale siamo stati fatti soldati: "Prendi anche tu la tua parte di sofferenza come un buon soldato di Cristo", scriveva S. Paolo al suo giovane discepolo Timoteo (2 Tiri 2,3).

Dobbiamo fare il possibile, nel Rinnovamento nello Spirito, per riscattare la parola "mortificazione" dal sospetto che grava su di essa. L'uomo d'oggi, cedendo senza accorgersene ai richiami dell'uomO vecchio, si è creato una filosofia speciale, per giustificare e anzi esaltare il soddisfacimento dei propri istinti o, come si dice, delle proprie pulsioni naturali, vedendo in ciò la via all'autorealizzazione della persona umana. Come se, in questo campo, occorresse incoraggiare l'uomo con una apposita filosofia e non bastassero già, da soli, la natura corrotta e l'egoismo umano!

La mortificazione è vana ed è anch'essa "opera della carne", se fatta per se stessa, senza libertà, o, peggio, se fatta per accampare diritti davanti a Dio o trarne vanto dinanzi agli uomini. ~ così, purtroppo, che molti cristiani hanno conosciuto la mortificazione e ora hanno paura di ricadervi, avendo gustato la libertà dello Spirito. Ma c'è un diverso modo di considerare la mortificazione che la Parola di Dio ci ha additato, un modo tutto spirituale e carismatico, perché discende dallo Spirito: "Se, con l'aiuto dello Spirito, fate morire le opere della carne, vivrete!" (Rm 8,13). Questa mortificazione è frutto dello Spirito ed è per la vita.

S. Francesco d'Assisi riconciliò gli uomini del suo tempo con la povertà che tutti aborrivano, presentandola amorevolmente al mondo come una grande signora, come "Madonna Povertà". lo vorrei fare lo stesso con la mortificazione: presentarla a me stesso prima e poi a voi, come la sposa dello Spirito, come colei che si unisce allo Spirito per darci la vita. Come "Madonna Mortificazione"!

La mortificazione custodisce l'amore. "Se un uomo - scrive Kierkegaard - dice veramente e con sincerità: 'Dio è amore', costui non ha, per ciò stesso, che un unico desiderio: quello di amare Dio che è amore, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze. Quando Dio scopre un uomo che abbia un tale desiderio, subito gli dice: 'Sì, mio caro bambino, io ti sarò di aiuto, ti aiuterò a mortificarti perché senza questo tu non mi puoi amare'. Considera una situazione puramente umana. Se un amante non può parlare la lingua dell'amata, allora o lui o lei deve imparare la lingua dell'altro per difficile che sia, poiché altrimenti il loro rapporto non potrebbe diventare un rapporto felice, essi non potrebbero mai conversare insieme. E così anche con il mortificarsi per amore di Dio. Dio è Spirito; solo chi è mortificato, può, in qualche modo, parlare il suo linguaggio. Se non ti vuoi mortificare, allora non puoi neppure amare Dio; tu parli infatti di tutt'altre cose da lui" (Diario, a cura di C. Fabro, Brescia 1963, n. 2709).



Per il testo integrale:
http://digilander.libero.it/rinnovamento/documenti/cate_052.html

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