martedì 30 giugno 2009

venerdì 26 giugno 2009

IN COSA CONSISTE LA VERA PERFEZIONE CRISTIANA


dal CAP.1 DEL TRATTATO "IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE" DI DON LORENZO SCRUPOLI

In che consiste la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere.
Quattro cose necessarie per questa battaglia


Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l'altezza della perfezione e, accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o immaginare, devi prima conoscere in che cosa consista la vera e perfetta vita spirituale.

Molti infatti, senza troppo riflettere, l'hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della carne, nei cilizi, nei flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili asprezze e fatiche corporali.

Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto cammino se dicono molte preghiere vocali; se partecipano a parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in chiesa e si ritemprano al banchetto eucaristico.

Molti altri (tra cui talvolta se ne ritrova qualcuno che, vestito dell'abito religioso, vive nei chiostri) si sono persuasi che la perfezione dipenda del tutto dal frequentare il coro, dal silenzio, dalla solitudine e dalla regolata disciplina: e così chi in queste e chi in altre simili azioni ritiene che sia fondata la perfezione.

Il che però non è così! Siccome dette azioni sono ora mezzo per acquistare spirito e ora frutto di spirito, così non si può dire che in esse solo consistano la perfezione cristiana e il vero spirito.
Sono senza dubbio mezzo potentissimo per acquistare spirito per quelli che bene e discretamente le usano, per prendere vigore e forza contro la propria malizia e fragilità; per armarsi contro gli assalti e gli inganni dei nostri comuni nemici; per provvedersi di quegli aiuti spirituali che sono necessari a tutti i servi di Dio e massimamente ai principianti.

Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali, le quali castigano il corpo perché ha offeso il suo Creatore e per tenerlo sottomesso e umile nel suo servizio; tacciono e vivono solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore e per conversare nei cieli (cfr. Fíl 3,20 Volgata); attendono al culto divino e alle opere di pietà; pregano e meditano la vita e la passione di nostro Signore non per curiosità e gusti sensibili, ma per conoscere ancora di più la propria malizia e la bontà misericordiosa di Dio, onde infiammarsi sempre più nell'amore divino e nell'odio di se stesse, seguendo con la loro abnegazione e la croce in spalla il Figliuolo di Dio; frequentano i santissimi sacramenti a gloria di sua divina Maestà, per congiungersi più strettamente con Dio e per prendere nuova forza contro i nemici.

Ma ad altri poi che pongono nelle suddette opere esteriori tutto il loro fondamento, possono, non per difetto delle cose in sé (che sono tutte santissime) ma per difetto di chi le usa, porgere talvolta occasione di rovina più che i peccati fatti apertamente. Mentre sono intenti solo in esse, abbandonano il cuore in mano alle inclinazioni e al demonio occulto, il quale, vedendo che questi già sono fuori del retto sentiero, li lascia non solamente continuare con diletto nei suddetti
esercizi ma anche spaziare secondo il loro vano pensiero per le delizie del paradiso, dove si persuadono di essere sollevati tra i cori angelici e di sentire Dio dentro di sé. Questi si trovano talora tutti assorti in certe meditazioni piene di alti, curiosi e dilettevoli punti e, quasi dimentichi del mondo e delle creature, par loro di essere rapiti al terzo cielo. Ma in quanti errori si trovino questi avviluppati e quanto siano lontani da quella perfezione che noi andiamo cercando,
facilmente si può comprendere dalla vita e dai loro costumi: infatti questi vogliono in ogni cosa grande e piccola essere preferiti agli altri e avvantaggiati su di loro, sono radicati nella propria opinione e ostinati in ogni loro voglia. Ciechi nei propri, sono invece solleciti e diligenti osservatori e mormoratori dei detti e dei fatti altrui. Se tu li tocchi anche un poco in una certa loro vana reputazione, in cui essi si tengono e si compiacciono di essere tenuti dagli altri, e li levi da quelle devozioni che usano passivamente, si alterano tutti e s'inquietano moltissimo. E se Dio, per ridurli alla vera conoscenza di se stessi e sulla strada della perfezione, manda loro travagli e infermità o permette persecuzioni (che non vengono mai senza sua volontà, così volendo o permettendo, e che sono la pietra di paragone della lealtà dei suoi servi), allora scoprono il loro falso fondo e l'interno corrotto e guasto a causa della superbia. Infatti in ogni avvenimento, triste o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi e umiliarsi sotto la mano divina acquietandosi nei sempre giusti benché segreti giudizi di Dio (cfr. Rm 11,33); né sull'esempio del suo Figliuolo, il quale umiliò se stesso e volle patire (cfr. Fil 2,8), si sottomettono a tutte le creature considerando come cari amici i persecutori, che effettivamente sono strumenti della divina bontà e cooperano alla loro mortificazione, perfezione e salvezza.
Perciò è cosa certa che questi tali sono posti in grave pericolo: avendo l'occhio interno ottenebrato e mirando con quello se medesimi e le azioni esterne che sono buone, si attribuiscono molti gradi di perfezione e così insuperbiti giudicano gli altri: ma per loro non c'è chi li converta, fuorché uno straordinario aiuto di Dio. Per tale motivo assai più agevolmente si converte e si riduce al bene il peccatore pubblico, anziché quello occulto e coperto con il manto delle virtù apparenti.

Tu vedi dunque assai chiaramente, figliuola, che la vita spirituale non consiste nelle suddette cose esteriori, come ti ho dichiarato.
Devi sapere che essa non consiste in altro che nella conoscenza della bontà e della grandezza di Dio, e della nostra nullità e inclinazione a ogni male; nell'amore suo e nell'odio di noi stessi; nella sottomissione non solo a lui, ma a ogni creatura per
amor suo; nella rinuncia a ogni nostro volere e nella totale rassegnazione al suo divino beneplacito: inoltre essa consiste nel volere e nel fare tutto questo semplicemente per la gloria di Dio, per il solo desiderio di piacere a lui, e perché così egli vuole e merita di essere amato e servito.
Questa è la legge d'amore impressa dalla mano dello stesso Signore nei cuori dei suoi servi fedeli.
Questo è il rinnegamento di noi stessi, che da noi ricerca (cfr. Lc 9,23).
Questo è il giogo soave e il peso suo leggero (cfr. Mt 11, 30).
Questa è l'obbedienza, alla quale con l'esempio e con la parola il nostro Redentore e Maestro ci chiama.

E perché, aspirando tu all'altezza di tanta perfezione, devi fare continua violenza a te stessa per espugnare generosamente e annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano, necessariamente conviene che con ogni prontezza d'animo ti prepari a questa battaglia: infatti la corona non si dà se non a quelli che combattono valorosamente.
Siccome tale battaglia è più di ogni altra difficile (poiché combattendo contro di noi, siamo insieme combattuti da noi stessi), così la vittoria ottenuta sarà più gloriosa di ogni altra e più cara a Dio.
Se tu attenderai a calpestare e a dar morte a tutti i tuoi disordinati appetiti, desideri e voglie ancorché minime, renderai maggior piacere e servizio a Dio che se, tenendo alcune di quelle volontariamente vive, ti flagellassi fino al sangue e digiunassi più degli antichi eremiti e anacoreti o convertissi al bene migliaia di anime. Sebbene il Signore in sé gradisca più la conversione delle anime che la mortificazione di una voglietta, nondimeno tu non devi volere né operare altro se non quello che il medesimo Signore da te rigorosamente ricerca e vuole.
Ed egli senza alcun dubbio si compiace di più che tu ti affatichi e attenda a mortificare le tue passioni che se tu, lasciandone anche una avvedutamente e volontariamente viva in te, lo servissi in qualunque cosa sia pure grande e di maggior importanza.

Ora che tu vedi, figliuola, in che consiste la perfezione cristiana e che per acquistarla devi intraprendere una continua e asprissima guerra contro te stessa, c'è bisogno che ti provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e
necessarissime, per riportare la palma e restare vincitrice in questa spirituale battaglia.
Queste sono: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l'esercizio e l'orazione. Di tutte tratteremo con l'aiuto divino e con facile brevità.

mercoledì 24 giugno 2009

ARMI NEL COMBATTIMENTO SPIRITUALE: DIFFIDENZA DI NOI STESSI E CONFIDENZA IN DIO


DAL LIBRO "IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE" DI DON LORENZO SCRUPOLI

CAPITOLO II
La diffidenza di noi stessi


La diffidenza di te stessa, figliuola, ti è talmente necessaria in questo combattimento che senza questa devi tenere per certo che non solamente non potrai conseguire la vittoria desiderata, ma neppure superare una ben piccola tua passioncella. E ciò ti s'imprima bene nella mente, perché noi siamo purtroppo facili e inclinati dalla natura corrotta verso una falsa stima di noi stessi: essendo veramente non altro che un bel nulla, ci convinciamo tuttavia di valere qualche cosa; e senza alcun fondamento, vanamente presumiamo delle nostre forze. Questo è difetto assai difficile a conoscersi e dispiace molto agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una leale cognizione di questa certissima verità che ogni grazia e virtù derivano in noi da lui solo, fonte di ogni bene; e che da noi non può venire nessuna cosa, neppure un buon pensiero che gli sia gradito (cfr. 2Cor 3,5).
E benché questa tanto importante diffidenza sia ben anche opera della sua divina mano che suole darla ai suoi cari amici ora con sante ispirazioni, ora con aspri flagelli e con violente e quasi insuperabili tentazioni, e con altri mezzi non intesi da noi medesimi, tuttavia, volendo egli che anche da parte nostra si faccia quello che tocca a noi, ti propongo quattro modi con i quali, aiutata principalmente dal supremo favore, tu possa conseguire tale diffidenza.

Il primo è che tu consideri e conosca la tua viltà e nullità e che da te non puoi fare alcun bene per il quale meriti di entrare nel regno dei cieli.

Il secondo è che con ferventi e umili preghiere la domandi spesso al Signore, poiché è dono suo.
E per ottenerla prima ti devi mirare non solo priva di essa, ma del tutto impotente ad acquistarla da te. Così presentandoti più volte davanti alla divina Maestà con una fede certa che per sua bontà sia per concedertela, e aspettandola con perseveranza per tutto quel tempo disposto dalla sua provvidenza, non vi è dubbio che l'otterrai.

Il terzo modo è che ti abitui a temere te stessa, il tuo giudizio, la forte inclinazione al peccato, gli innumerevoli nemici ai quali non hai forza di fare una minima resistenza; la loro esperienza nel combattere, gli stratagemmi, le loro trasfigurazioni in angeli di luce; le innumerevoli arti e i tranelli, che nella via stessa della virtù nascostamente ci tendono.

Il quarto modo è che quando ti avviene di cadere in qualche difetto, allora tu penetri più dentro e più vivamente nella considerazione della tua somma debolezza: infatti per questo fine Dio ha permesso la tua caduta, affinché, avvisata dall'ispirazione con più chiaro lume di prima, conoscendoti bene impari a disprezzare te stessa come cosa purtroppo vile e per tale tu voglia anche dagli altri essere tenuta e parimenti disprezzata. Sappi che senza questa volontà non vi può essere virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell'umiltà vera e nella cognizione sperimentale.
Chiara è questa cosa: a ognuno che vuol congiungersi con la luce suprema e con la verità increata è necessaria la conoscenza di se stesso, che la divina clemenza dà ordinariamente ai superbi e ai presuntuosi attraverso le cadute: essa li lascia giustamente incorrere in qualche mancanza dalla quale si persuadono di potersi difendere, affinché, venendosi così a conoscere,apprendano a diffidare in tutto di se medesimi.
Il Signore, però, non è solito servirsi di questo mezzo così miserabile se non quando gli altri più benigni, che abbiamo deto sopra, non hanno portato quel giovamento inteso dalla sua divina bontà. Essa permette che l'uomo cada più o meno tanto quanto maggiore o minore è la sua superbia e la propria reputazione; in maniera che dove non si ritrovasse la pur minima presunzione, come fu in Maria Vergine, similmente non vi sarebbe nemmeno la pur minima caduta. Dunque quando cadi, corri subito col pensiero all'umile conoscenza di te stessa e con preghiera insistente (cfr. Lc 11,5-13) domanda al Signore che ti doni il vero lume per conoscerti e la totale diffidenza di te stessa, se non vorrai cadere di nuovo e talvolta in più grave rovina.


CAPITOLO III
La confidenza in Dio


Benché in questa battaglia, come abbiamo detto, sia tanto necessaria la diffidenza di sé, tuttavia, se l'avremo sola, o ci daremo alla fuga o resteremo vinti e superati dai nemici; e perciò oltre a questa ti occorre ancora la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando e aspettando qualunque bene, aiuto e vittoria. Perché siccome da noi, che siamo niente, non ci è lecito prometterci altro che cadute, onde dobbiamo diffidare del tutto di noi medesimi, così grazie a nostro Signore conseguiremo sicuramente ogni gran vittoria purché, per ottenere il suo aiuto, armiamo il nostro cuore di una viva confidenza in lui. E questa parimenti in quattro modi si può conseguire.

Primo: col domandarla a Dio.

Secondo: col considerare e vedere con l'occhio della fede l'onnipotenza e la sapienza infinita di Dio, al quale niente è impossibile (cfr. Lc 1,37) né difficile; e che essendo la sua bontà senza misura, con indicibile amore sta pronto e preparato a dare di ora in ora e di momento in momento tutto quello che ci occorre per la vita spirituale e la totale vittoria su noi stessi, se ci gettiamo con confidenza nelle sue braccia. E come sarà possibile che il nostro Pastore divino, il quale trentatré
anni ha corso dietro alla pecorella smarrita con grida tanto forti da diventarne rauco e per via tanto faticosa e spinosa da spargervi tutto il sangue e lasciarvi la vita, ora che questa pecorella va dietro a lui con l'obbedienza ai suoi comandamenti oppure con il desiderio benché alle volte fiacco di obbedirgli, chiamandolo e pregandolo, come sarà possibile che egli non volga ad essa quei suoi occhi vivificanti, non l'oda e non se la metta sulle divine spalle facendone festa con
tutti i suoi vicini e con gli angeli del cielo? Che se nostro Signore non lascia di cercare con grande diligenza e amore e di trovare nella dramma evangelica il cieco e muto peccatore, come sarà possibile che abbandoni colui che come smarrita pecorella grida e chiama a suo Pastore? E chi crederà mai che Dio, il quale batte di continuo al cuore dell'uomo per il desiderio di entrarvi e cenarvi comunicandogli i suoi doni, faccia egli davvero il sordo e non vi voglia entrare qualora l'uomo apra il cuore e lo inviti (cfr. Ap 3,20)?

Il terzo modo per acquistare questa santa confidenza è il ricorrere con la memoria alla verità della sacra Scrittura, la quale in tanti luoghi ci mostra chiaramente che non restò mai confuso colui che confidò in Dio.

Il quarto modo, che servirà per conseguire insieme la diffidenza di te stessa e la confidenza in Dio, è questo: quando ti capita qualcosa da fare e di intraprendere qualche battaglia e vincere te stessa, prima che ti proponga o ti risolva di volerla fare rivolgiti con il pensiero alla tua debolezza e, diffidando completamente, volgiti poi alla potenza, alla sapienza e alla bontà divina.
E in queste confidando, delibera di operare e di combattere generosamente; ma come nel suo luogo dirò, combatti e opera poi con queste armi in pugno e con l'orazione. E se non osserverai quest'ordine, anche se ti parrà di fare ogni cosa nella confidenza in Dio, ti troverai in gran parte ingannata: infatti è tanto sottile e tanto propria all'uomo la presunzione di se medesimo, che subdolamente quasi sempre vive nella diffidenza che ci pare di avere di noi stessi e nella confidenza che stimiamo di avere in Dio.
Perché tu fugga quanto più sia possibile la presunzione e operi con la diffidenza di te stessa e con la confidenza in Dio, fa in maniera che la considerazione della tua debolezza preceda la considerazione dell'onnipotenza di Dio e ambedue precedano le nostre opere.

TESORO IN VASI DI CRETA


Carissimi fratellini e carissime sorelline, ho letto i vostri commenti all’ultimo post che ho scritto. Tra molte meravigliose parole ho sentito anche molta perplessità sul fatto che sia mai possibile realizzare quanto scrivo. Sinceramente resto un po' esterrefatto perchè come un bimbo che si fida del papà per me è scontato credere che se Gesù ci chiede qualcosa sicuramente non ci chiede qualcosa di impossibile! Se ci chiede di essere santi e perfetti come il Padre Celeste, significa che una via per esserlo esiste! Infatti Lui stesso si è fatto Via per noi!!! Il Vangelo è la sintesi delle sintesi per sapere come vivere l'arte di amare e realizzare in modo autentico e pieno un'esistenza non solo sulla terra, ma anche per l'eternità!
Capisco che le cadute possano farci paura e soprattutto scoraggiarci… ma Gesù sa bene chi siamo. Dio, che ci ha creato sa quanti limiti abbiamo e non guarda alle opere in sé, ma al cuore. Basti pensare a tutte le parabole della Misericordia o ai brani dove a chi a Lui torna in umiltà come il pubblicano al tempio, o come il figlio prodigo che torna, corre incontro e fa festa “più che per novantanove giusti!” Il punto chiave è un altro… Se puntiamo sulle nostre forze, allora la caduta è assicurata. Se non preghiamo più, allora prepariamoci alla frana. Se ci chiudiamo nell’egoismo, allora raccoglieremo il frutto della solitudine e dell’insoddisfazione. Il segreto è nel vivere il Vangelo a tal punto da essere Vangelo che vive! Il segreto è nel permettere a Gesù in noi, giorno dopo giorno, di dilatare la sua presenza a tal punto da poter dire come san Paolo: “Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me!” (Gal 2,20). Il Gesù bambino nel nostro cuore va amato, coltivato, custodito, cresciuto, coccolato… come nelle fasi di un bimbo che necessita di protezione e cura. Maria e Giuseppe in questo ci possono essere da guida e maestri. E non conta se essere sacerdoti o madri di famiglia, se suore o immersi nel mondo! Conta piano piano perdersi nel Suo Amore e permettergli di dimorare in noi cosicché sia Lui in noi a vivere, a parlare, ad agire, ad Amare! Allora “saremo santi perché Lui è santo” in noi! Sempre san Paolo dice bene che “abbiamo un tesoro in vasi di creta”. La creta siamo noi. Se cadiamo, rialziamoci il prima possibile e diciamoglielo: “Gesù, scusami… ma tu sai che sono creta. Scusami, ho puntato su di me, ho trascurato la preghiera dialogo del cuore con te, ho abbassato lo sguardo a terra… ma riprendi dimora in me e sia stabile per sempre!” Allora la creta nella Confessione tornerà ad essere vaso rinnovato e Lui il tesoro che conterrà! Che mistero grande il tuo Amore Gesù!
Non abbattiamoci e corriamo insieme verso la meta! Come il ferro immerso nel fuoco ne prende le proprietà diventando con esso uno cosa sola, incandescente e capace delle stesse sue proprietà, così noi se immergiamo il cuore in Dio ogni giorno di più. La nostra vita è come un canale che può arrivare in diversi punti e che comunque avrà uno sbocco finale, se in questo canale gli argini con prudenza resteranno compatti grazie alla virtù dell’umiltà, il fiume di Dio potrà scorrere in esso e dar senso all’esistenza stessa nostra, ma questo fiume dev’essere fatto di preghiera e amore.

DON DAVIDE BANZATO
dal sito "egioiasia"

venerdì 19 giugno 2009

LA DEVOZIONE DI RIPARAZIONE VERSO IL SACRO CUORE DI GESU'


“Fa’, mio Dio, che offrendo al Cuore di Tuo Figlio, la devozione della nostra vita cristiana, sappiamo soddisfare degnamente al dovere della riparazione” (Preghiera nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù).

Venerdì 19 giugno 2010, solennità del sacratissimo cuore e giornata della santificazione sacerdotale di Gesù, il pontefice Benedetto XVI aprirà lo speciale anno sacerdotale. La preghiera della solennità del Sacro Cuore ci scopre uno degli aspetti di questa devozione, secondo il senso delle rivelazioni di Paray–le–Monial: lo spirito di riparazione dell’anima fedele ed amante del Cuore di Gesù per i peccati, gli oltraggi, specialmente le profanazioni del suo Divin Sacramento dell’Eucaristia, prova e dono ineffabile del suo amore. “L’amore non è amato” aveva detto la monaca visitandina Santa Margherita Maria. In tutto il suo Messaggio si avverte un rimpianto del Cuore di Gesù di non essere compreso, amato ...

... come sarebbe in diritto di attenderlo da parte degli uomini. Egli rivolge un appello per ottenere un amore più ardente e più generoso. Fa delle promesse di beni spirituali preziosi per chi praticherà questa devozione dei primi venerdì del mese facendo la santa comunione in stato di grazia… Infine, con un’insistenza commuovente, chiede la riparazione contro il male commesso.
L’Orazione traduce questo punto di vista con queste parole: “Soddisfare degnamente al dovere della riparazione”.
Riparare! Dopo il peccato, chiedere perdono. Dopo il male commesso e le sue conseguenze devastanti di colpa contro Dio, di scandali del prossimo, di abbassamento e di corruzione dell’anima colpevole e del suo ambiente familiare e sociale di vita, rimettere l’ordine in mezzo al disordine provocato. È questo riparare ma con un pensiero in più. Dio è un vivente. Cristo Dio col suo cuore amante, generoso è un Uomo come noi, sensibile all’amicizia, alla riconoscenza, al tradimento, all’ingratitudine. Da parte nostra la riparazione dopo l’offesa non è un atto posto su di un piano di astrazione, ma compiuto di fronte ad un Dio Padre, di un Uomo – il Cristo,Dio Incarnato, Redentore che s’è fatto nostro fratello e nostro amico riempiendoci dei suoi benefici spirituali fino ad elevarci ad una vera divinizzazione. È da Lui che siamo fatti figli di Dio per adozione e che possiamo così pretendere ad un’eredità di felicità eterna fino ad una partecipazione di conoscenza, d’amore, d’unione divina che ci sorpassa e rimane in diritto l’appannaggio di Dio solo.
Benefattore troppo sconosciuto, amico tradito, fratello stancato, Dio offeso, ecco i motivi che c’impongono la riparazione, quella della preghiera, della richiesta del perdono, quella dell’offerta del sacrificio, quella della Messa così eminentemente riparatore, quello dei nostri lavori, delle nostre prove, della nostra buona volontà. In modo particolare in quest’anno 2009 e 2010 vogliamo pregare e riparare per i peccati dei sacerdoti, che più di ogni altra categoria di peccatori, fanno addolorare il Cuore di Cristo a causa degli scandali che la vita di alcuni sacerdoti immorali e corrotti può causare.
Accetta, Signore Gesù, per il tuo Cuore adorabile, amante e ferito dalle nostre ingratitudini e dai nostri peccati, quest’omaggio della mia comprensione per le tue sofferenze d’amore per me. Vedi la contrizione delle mie colpe, il mio desiderio di consolarti nella tristezza della tua agonia, dalla pesantezza morale del peccato e dei peccatori, specialmente i sacerdoti scandalosi, dall’amore leale, fervente, agente che io vi dono con tutta la semplicità e la sincerità del mio affetto. Sii certo, o Cuore Divino, della mia risoluzione di generosità. Voglio fare uso dell’esperienza del mio passato, delle mie miserie, delle mie debolezze per servirti per il futuro con una fedeltà più intera, con una devozione interamente data alla tua causa, all’avvento del tuo Regno. Amen

don Marcello Stanzione

lunedì 15 giugno 2009

IL MIRACOLO EUCARISTICO DI LANCIANO (CHIETI)



dal sito http://www.miracoloeucaristico.eu/index.html

L'EVENTO

Il Miracolo Eucaristico di Lanciano è avvenuto circa l'anno settecento. Ciò si desume da circostanze e concomitanze storiche dovute alla persecuzione in Oriente da parte dell'Imperatore Leone III, l'Isaurico, il quale iniziò una feroce persecuzione contro la Chiesa e il culto delle immagini sacre (iconoclastia). In concomitanza della "lotta iconoclasta" nella Chiesa orientale, molti monaci greci si rifugiarono in Italia, tra essi i monaci basiliani, discepoli di San Basilio (329-379) Vescovo di Cesarea di Cappadocia (nell'attuale Turchia Orientale). Alcune comunità di esse si rifugiarono a Lanciano.

Un giorno un monaco mentre celebrava la Santa Messa fu assalito dal dubbio circa la presenza reale di Gesù nella Santa Eucaristia. Pronunziate le parole della consacrazione sul pane e sul vino, all'improvviso, dinanzi ai suoi occhi vide il pane trasformarsi in Carne, il vino in Sangue.

La tradizione, non attenta come noi oggi ai particolari delle vicende umane, non ci ha consegnato i dati anagrafici del monaco-sacerdote tra le cui mani si è verificato lo straordinario e inatteso mutamento. Sappiamo che era un monaco di rito orientale, greco, appartenente alla grande famiglia spirituale dei basiliani. Un documento del 1631, che riferisce il Prodigio con dovizia di particolari, ci aiuta ad entrare nel mondo interiore dell'anonimo protagonista, dipingendolo "non ben fermo nella fede, letterato nelle scienze del mondo, ma ignorante in quelle di Dio; andava di giorno in giorno dubitando, se nell'ostia consacrata vi fosse il vero Corpo di Cristo e così nel vino vi fosse il vero Sangue".
Un uomo dunque tormentato dal dubbio, disorientato dalle varie correnti d'opinione, anche nel campo della fede, lacerato dalla inquietudine quotidiana.

Quale fu la sua reazione di fronte alla inattesa mutazione che coinvolse anche le specie sacramentali? Attingendo dal citato documento, leggiamo: "Da tanto e così stupendo miracolo atterrito e confuso, stette gran pezzo come in una divina estasi trasportato; ma, finalmente, cedendo il timore allo spirituale contento, che gli riempiva l'anima, con viso giocondo ancorché di lacrime asperso, voltatosi alle circostanti, così disse: 'O felici assistenti ai quali il Benedetto Dio per confondere l'incredulità mia ha voluto svelarsi in questo santissimo Sacramento e rendersi visibile agli occhi vostri. Venite, fratelli, e mirate il nostro Dio fatto vicino a noi'". E' il sentimento comune che si accompagna ad ogni esperienza di Dio e del suo misterioso agire con i figli degli uomini. Il pane e il vino, investiti dalla forza creatrice e santificatrice della Parola, si sono mutati improvvisamente, totalmente e visibilmente in Carne e Sangue.


L'ESAME SCIENTIFICO

In novembre 1970, per le istanze dell'arcivescovo di Lanciano, Monsignor Perantoni, e del ministro provinciale dei Conventuali di Abruzzo, e con l'autorizzazione di Roma, i Francescani di Lanciano decisero di sottoporre a un esame scientifico queste "reliquie" che risalivano a quasi 12 secoli. Certamente era una sfida: ma né la fede cattolica (che qui non era affatto in gioco), né una tradizione storica certa hanno nulla da temere dalla scienza, perché ciascuna rimane nel proprio campo.

Il compito fu affidato al dott. Edoardo Linoli, capo del servizio all'ospedale d'Arezzo e professore di anatomia, di istologia, di chimica e di microscopia clinica, coadiuvato del prof. Ruggero Bertelli dell'Università di Siena. Il dott. Linoli effettuò dei prelevamenti sulle sacre reliquie, il 18 novembre 1970, poi eseguì le analisi in laboratorio.

Il 4 marzo 1971, il professore presentò un resoconto dettagliato dei vari studi fatti. Ecco le conclusioni essenziali:

1. La "carne miracolosa" è veramente carne costituita dal tessuto muscolare striato del miocardio.
2. Il "sangue miracoloso" è vero sangue: l'analisi cromatografica lo dimostra con certezza assoluta e indiscutibile.
3. Lo studio immunologico manifesta che la carne e il sangue sono certamente di natura umana e la prova immunoematologica permette di affermare con tutta oggettività e certezza che ambedue appartengono allo stesso gruppo sanguigno AB (lo stesso della Sindone). Questa identità del gruppo sanguigno può indicare l'appartenenza della carne e del sangue alla medesima persona, con la possibilità tuttavia dell'appartenenza a due individui differenti del medesimo gruppo sanguigno.
4. Le proteine contenute nel sangue sono normalmente ripartite, nella percentuale identica a quella dello schema siero-proteico del sangue fresco normale.
5. Nessuna sezione istologica ha rivelato traccia di infiltrazioni di sali o di sostanze conservatrici utilizzate nell'antichità allo scopo di mummificazione. Certo, la conservazione di proteine e dei minerali osservati nella carne e nel sangue di Lanciano non è né impossibile né eccezionale: le analisi ripetute hanno permesso di trovare proteine nelle mummie egiziane di 4 e di 5.000 anni. Ma è opportuno sottolineare che il caso di un corpo mummificato secondo i procedimenti conosciuti, è molto differente da quello di un frammento di miocardio, lasciato allo stato naturale per secoli, esposto agli agenti fisici atmosferici e biochimici.

Il prof. Linoli scarta anche l'ipotesi di un falso compiuto nei secoli passati: "Infatti, dice, supponendo che si sia prelevato il cuore di un cadavere, io affermo che solamente una mano esperta in dissezione anatomica avrebbe potuto ottenere un "taglio" uniforme di un viscere incavato (come si può ancora intravedere sulla "carne") e tangenziale alla superficie di questo viscere, come fa pensare il corso prevalentemente longitudinale dei fasci delle fibre muscolari, visibile, in parecchi punti nelle preparazioni istologiche. Inoltre, se il sangue fosse stato prelevato da un cadavere, si sarebbe rapidamente alterato, per deliquescenza o putrefazione.


NUOVO ESAME SCIENTIFICO:

La relazione del prof. Linoli fu pubblicata in Quaderni Sclavo in Diagnostica, 1971, fasc. 3 (Grafiche Meini, Siena) e suscitò un grande interesse nel mondo scientifico. Anche nel 1973, il Consiglio superiore dell'Organizzazione mondiale della Sanità, O.M.S./O.N.U. nominò una commissione scientifica per verificare, mediante esperimenti di controllo, le conclusioni del medico italiano. I lavori durarono 15 mesi con un totale di 500 esami. Le ricerche furono le medesime di quelle effettuate dal prof. Linoli, con altri complementi. La conclusione di tutte le reazioni e di tutte le ricerche confermarono ciò che già era stato dichiarato e pubblicato in Italia.

In maniera precisa, fu affermato che i frammenti prelevati a Lanciano non potevano essere assimilati da tessuti mummificati. La loro conservazione dopo quasi dodici secoli, in reliquiari di vetro e in assenza di sostanze conservanti, antisettiche, antifermentative e mummificanti, non è scientificamente spiegabile: infatti i vasi che racchiudono queste reliquie non impediscono l'accesso dell'aria e della luce né l'entrata di parassiti d'ordine vegetale o animale, veicoli ordinari dell'aria atmosferica. In quanto alla natura del frammento di carne, la commissione dichiara senza esitazione che si tratta di un tessuto vivente perché risponde rapidamente a tutte le reazioni cliniche proprie degli esseri viventi.

Questo responso perciò conferma pienamente le conclusioni del prof. Linoli. E non è meno sorprendente constatare che un miracolo italiano dell'alto medioevo abbia interessato sino a questo punto l'OMS e le Nazioni Unite! Ma, è questa un'altra sorpresa, l'estratto-riassunto dei lavori scientifici della Commissione Medica dell'OMS e dell'ONU, pubblicato in dicembre 1976 a New York e a Ginevra, dichiara nella sua conclusione che la scienza, consapevole dei suoi limiti, si arresta davanti alla impossibilità di dare una spiegazione. L'ultimo paragrafo non è certamente una dichiarazione di fede religiosa, ma è almeno l'apologia dell'umiltà che deve possedere colui che si dedica alla ricerca scientifica. Lo scienziato, a un certo momento delle sue investigazioni, deve ricordarsi che egli non è altro che un uomo sul pianeta terrestre.

In conclusione si può dire che la Scienza, chiamata a testimoniare, ha dato un certo ed esauriente responso, riguardo dell'autenticità del Miracolo Eucaristico di Lanciano.

EUCARISTIA: MISTERO DI VICINANZA E PRESENZA DI CRISTO


Solennità del Corpus Domini

14 Giugno 2009

Eucaristia: mistero di vicinanza e presenza di Cristo

di padre Antonio Rungi

Celebriamo oggi la solennità del Corpus Domini, celebrata in altre parti giovedì scorso, secondo un’antica usanza, rivista in alcune comunità nazionali, anche per adeguarsi alle norme civili che non permettono feste infrasettimanali. Solennità che porta al centro della nostra vita di fede il grande miracolo eucaristico che si rinnova ogni giorno su tutti gli altari del mondo, ove un sacerdote cattolico, in unione alla Chiesa di Cristo, celebra legittimamente la santa messa, memoriale della Pasqua di Morte e Risurrezione di mostro Signore. Attualizzazione dell’evento salvifico, unico ed irripetibile, che è stato celebrato sul Golgota. L’eucaristia in questo senso è il mistero della fede per eccellenza, con il quale annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta. Un mistero di vicinanza, presenza ed attesa. La liturgia nel suo insieme ci porta al grande mistero della fede. I canti, gli inni eucaristici, le preghiere eucaristiche: tutto ci parla del grande amore di Cristo verso l’umanità, che non ha lasciato sola, ma che l’assiste e fortifica con il pane degli angeli, come ci ricorda la sequenza della solennità odierna: Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato. Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell'agnello della Pasqua, nella manna data ai padri. Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”.
In questo speciale anno sacerdotale indetto da Papa Benedetto XVI, l’eucaristia è e deve essere riscoperta nella vita di ogni ministro della stessa eucaristia. Senza una vita eucaristica sentita, vissuta, approfondita nell’assidua adorazione del santissimo sacramento dell’altare il sacerdote perde molto della sua vocazione e dà poco alla comunità cristiana. Ecco perché che l’annuale solennità del Corpus Domini è un forte richiamo per fedeli e sacerdoti alla centralità dell’eucaristia nella loro vita.
Questo pane degli Angeli che non deve essere buttato, disprezzato, trascurato, fatto deperire, non consumato nel modo migliore. Forte appello alla partecipazione alla mensa eucaristica con cuore puro e rinnovato, purificato da ogni peccato. Non si può, infatti, accostarsi alla mensa eucaristica senza aver messo a posto i conti sospesi a livello morale e spirituale con il Signore e con i fratelli. Fare la comunione significa entrare pienamente in un rapporto sacramentale con Gesù Cristo e con la Chiesa.
Il sacrificio di Cristo sulla Croce ha un senso solo se comprendiamo che egli è morto per i nostri peccati, per risollevarci dalla condizione della nostra personale schiavitù e soggiacenza alle passioni. L’Apostolo Paolo nel brano della lettera agli Ebrei ci richiama all’attenzione il mistero del Crocifisso: “Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa”.
L’eucaristia è appello continuo alla purificazione. Cristo ci purifica dalle opere morte e che causano morte nel nostro cuore e nel nostro spirito. Senza questo riferimento continuo al cibo eucaristico, noi diventiamo fragile, debilitati, deboli nell’anima ed incapaci di fare il bene e reagire davanti alle avversità della vita.
L’eucaristia è impegno serio nella vita, non ammette compromessi morali, né accomodamenti di sorta. Nel racconto della prima alleanza che Dio stipula con Mosé sul monte Sinai, di cui parla la prima lettura di oggi, tratta dall’Esodo, Israele si impegna ad osservare tutti i comandi del Signore ed accetta di buon grado i dieci comandamenti, frutto dalla carità e dell’amore divino verso l’umanità. “In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Tutta la liturgia della consacrazione dell’altare che Mosè erige al Signore, della parola di Dio che legge al popolo convocato per il ringraziamento (eucaristia è rendere grazie, è benedire) è finalizzata all’impegno della vita. Quello che ha detto Dio sarà fatto ed eseguito: è questo il nucleo etico del messaggio eucaristico. Come dire, dopo aver reso grazie, celebrata la messa, partecipata alla mensa eucaristica usciamo per le strade della nostra città, dei nostri quartieri, all’interno delle nostre stesse case, abitazioni e famiglie per vivere quanto abbiamo celebrato in Chiesa. La messa non fine con il saluto conclusivo del sacerdote, inizia proprio in quel momento, in quanto dalla celebrazione si passa alla vita vissuta nella fedeltà assoluta al comandamento del Signore. Ecco perché celebrare l’eucaristia significa andare alle origini di questo sacramento istituito nel giovedì santo, alla vigilia della passione e morte in Croce del Signore. Significa riportarsi idealmente e spiritualmente alla sera del cenacolo, alla vigilia della vera e definitiva Pasqua di Dio con l’umanità, come ci rammenta l’evangelista Marco nel brano del Vangelo di oggi attinente la istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio cattolico “Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Nasca anche dentro di noi questa intensissima domanda che possiamo rivolgere a Dio in questo nostro momento: Signore dove e come vuoi che io faccia Pasqua con te e con i fratelli? Semplicemente accostandomi a te nel sacramento dell’altare e poi negare il perdono ai fratelli vivere dissolutamente. C’è il rischio di fare dell’eucaristia un’abitudine o addirittura di non sentirne la necessità ed il bisogno interiore se non in rare circostanze, in quanto questo nostro tempo invece di accostarci sempre più all’Onnipotente ci sta allontanando da Lui non riconoscendolo più presente in corpo, sangue, anima e divinità del SS.Sacramento dell’Altare. Concludiamo questa meditazione con la parte introduttiva della sequenza di oggi, meno conosciuta, ma altrettanta ricca di contenuti e spunti: “Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode. Veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l’esito!”.
Per tutti noi che aneliamo ogni giorno ad accostarci alla mensa del Signore e praticamente lo faccio unico sia l’esito di questo incontro quotidiano: vita, gioia e risurrezione. Amen

sabato 13 giugno 2009

CONSIGLI PER IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE


(Ef 6,10-20)

Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere.



CONSIGLI SULLA LOTTA SPIRITUALE, RIVELATI A S. FAUSTINA KOWALSKA
( Quaderno n. 6/2 di Suor Faustina )


Figlia Mia, voglio istruirti sulla lotta spirituale


1. Non confidare mai in te stessa, ma affidati completamente alla Mia volontà.

2. Nell'abbandono, nelle tenebre e nei dubbi di ogni genere ricorri a Me ed al tuo direttore spirituale,
che ti risponderà sempre a Mio nome.

3. Non metterti a discutere con nessuna tentazione, chiuditi subito nel Mio Cuore ed alla prima occasione
rivelala al confessore.

4. Metti l'amor proprio all'ultimo posto, in modo che non contamini le tue azioni.

5. Sopporta te stessa con molta pazienza.

6. Non trascurare le mortificazioni interiori.

7. Giustifica sempre dentro di te l'opinione dei superiori e del confessore.

8. Allontanati dai mormoratori come dalla peste.

9. Lascia che gli altri si comportino come vogliono, tu comportati come voglio Io da te.

10. Osserva la regola nella maniera più fedele.

11. Dopo aver ricevuto un dispiacere, pensa a che cosa potresti fare di buono per la persona che ti ha
procurato quella sofferenza.

12. Evita la dissipazione.

13.Taci quando vieni rimproverata.

14. Non domandare il parere di tutti, ma quello del tuo direttore spirituale;
con lui sii sincera e semplice come una bambina.

15. Non scoraggiarti per l'ingratitudine.

16. Non indagare con curiosità sulle strade attraverso le quali ti conduco.

17. Quando la noia e lo sconforto bussano al tuo cuore, fuggi da te Stessa e nasconditi nel Mio Cuore.

18. Non aver paura della lotta; il solo coraggio spesso spaventa le tentazioni che non osano assalirci.

19. Combatti sempre con la profonda convinzione che Io sono accanto a te.

20. Non lasciarti guidare dal sentimento poiché esso non sempre è in tuo potere,
ma tutto il merito sta nella volontà.

21. Sii sempre sottomessa ai superiori anche nelle più piccole cose.

22. Non t'illudo con la pace e le consolazioni; preparati a grandi battaglie.

23. Sappi che attualmente sei sulla scena dove vieni osservata dalla terra e da tutto il cielo;
lotta come un valoroso combattente, in modo che Io possa concederti il premio.

24. Non aver troppa paura, poiché non sei sola

venerdì 12 giugno 2009

LA CHIESA SARA' SEMPRE SOLO SANTA


Tante volte mi capita di ascoltare le persone che negativamente parlano della Chiesa .
Andando a fondo nello loro parole mi rendo poi conto che il loro giudizio non ha niente a che vedere con la Chiesa di Gesu'.
Ci si ferma all'apparenza... tanti mi elencano la cattiva condotta dei Sacerdoti, la richezza del Vaticano etc etc.
Quante volte sento questi giudizi nelle persone che incontro.
La fede e' davvero una grazia preziosa, e parte tutto dal cuore.
Se non apri il cuore e non cerchi il Signore non potrai mai vedere oltre......
oltre l'umana debolezza, oltre il peccato che TUTTI abbiamo in noi.
Ci si dimentica che nella Chiesa, dietro i diffetti che tutti abbiamo c'e' un tabernacolo, che conserva il corpo di Cristo, quella luce, quella presenza che mai smettera di splendere.
A quella luce bisogna guardare, quella luce che aspetta solo il nostro cuore.
Dal nostro cuore parte tutto, da come ci poniamo.
La preghiera fatta con il cuore, ci fara' vedere dentro noi stessi,
ci fara' vedere il nostro peccato e la nostra miseria e ci fara' arrivare a non vedere piu' i peccati degli altri , andra' via da noi il giudizio e entrando in Chiesa guarderemo solo al Signore .
Perche' la Chiesa e' Cristo e Lui solo dobbiamo vedere.
Il sentimento che viene dallo spirito, nei confronti delle anime,
se noi ci decidiamo per il cielo,
non sara' piu' giudicare gli altri e le loro debolezze, ma bensi' pregare per noi e per tutti loro , coscenti che Gesu' e' li' che ci aspetta.
Se andiamo via dalla Chiesa per le persone , per la loro umanita', noi Gesu' non l'abbiamo mai visto,mai voluto veramente incontrare la Sua presenza, ma siamo sempre andati in Chiesa con gli occhi della carne, e quelli del cuore sono sempre stati chiusi.
La preghiera ci insegnera' a essere misericordiosi .
Se vi siete allontanati dalla Chiesa, ripensateci.
Pregate, pregate, pregate,
come la nostra Madre sempre ci ricorda nei suoi messaggi a Medjugorje.
Tornate al Signore, entrate in Chiesa, andate a Tabernacolo, state in silenzio, parlate con il Signore nel vostro cuore, piegate il vostro cuore a Gesu' e “fiumi d'acqua viva sgorgheranno”.
Andate a confessarvi, a lavarvi nella luce e poi cibatevi di Cristo.
Un giorno capiremo la preziosita' di questa possibilita'!
La santissima Vergine possa accompagnarvi tutti.
Nel Suo Rosario troverete conforto, forza e difesa.
Ho dato tutta la mia vita al Signore, mi sono donata al cielo e nella Croce so' che il Signore non ci abbandonera' mai.
Anche io prima avevo tanti dubbi e tante critiche, perche' non ci avevo messo il cuore e cosi' facendo allontanavo la grazia di Dio, che il cielo sempre vuole donarci.
....ma poi succede qualcosa, e tanto dipende dal nostro libero arbitrio;invocate la Madonna!
Cambiate la vostra vita, iniziate un cammino di fede.
solo Gesu' puo' compiere questo miracolo.
Non sono nessuno , ma davvero FIDATEVI DEL CIELO!
Dio aspetta i nostri cuori . Dio ci ama.
LA CHIESA SARA' SEMPRE SOLO SANTA.
Santa giornata

rosellinadiluna
Apostola di Maria


http://ilcuoredelcielo.blogspot.com/2009/06/la-chiesa-e-sempre-e-solo-santa.html

Grazie Rosellinadiluna per la tua testimonianza!

lunedì 8 giugno 2009

IL MENDICANTE SEMPRE FELICE


Tratto dall'Eco di Medjugorje nr.78

Tauler, un devoto sacerdote, ha sempre pregato il Signore di mostrargli la strada più breve per la perfezione e la santità. Ha pregato 8 anni per avere questa grazia e un giorno ha sentito una voce: “Vai fuori e colui che incontri sugli scalini della chiesa, ti può mostrare la strada”. Il sacerdote ha ascoltato e sugli scalini ha trovato un mendicante. Con un po' di stupore ha pensato: “Cosa mi può mostrare questo poveraccio?”. Gli va però incontro e lo saluta dicendo: “Buon giorno”. Il mendicante risponde: “Io ti ringrazio di questo saluto, ma non ricordo quando io non abbia avuto una bella giornata”. Tauler dice: “Allora io desidero che tu sia sempre felice tutti i giorni”. “Io ti ringrazio” risponde l'uomo, “lo non so quando sono stato infelice, perchè sono sempre beato”. Tauler chiede: “Spiegati meglio”. “Io ho sempre buone giornate, perchè accetto tutto ciò che viene dalla Mano di Dio: povertà, fame, disprezzo, tutto, anzi, io lodo Dio, così per me è sempre un buon giorno, perchè un cattivo giorno non porta tristezza ma la nostra impazienza. Io sono felice perchò so che non succede niente che Dio non voglia e ciò che Dio vuole per me è la miglior cosa. lo sono beato perchè la volontà di Dio è la mia felicità, la mia dolcezza. Tutto ciò che Dio fa mi riempie di felicità e per questo io sono mille volte più felice”.

(Ricevuto da P. Petar)

LA VERA ANIMA GEMELLA E' QUELLA CHE HAI SPOSATO


Ecco uno stralcio di una lucida e commovente lettera del grande scrittore cattolico J.R.R. Tolkien sul matrimonio:


Una certa tradizione cavalleresca " – tende tuttora a fare della dama una specie di faro-guida o di divinità (…)". Tale tradizione ( ndr ) " non è completamente vera e non è perfettamente- teocentrica -. Distoglie, o ha distolto in passato, gli occhi del giovane dalle donne così come sono veramente, compagne nelle avversità della vita e non stelle-guida.(…)

Fa dimenticare i desideri, i bisogni, le tentazioni delle donne. Inculca la tesi esagerata dell’- amore vero- come di un fuoco che viene dal di fuori, un’esaltazione permanente, che non prende in considerazione gli anni che passano, i figli che arrivano, la vita di tutti i giorni ed è svincolata dalla volontà e dagli obbiettivi. ( Uno dei risultati è quello di far cercare ai giovani un –amore- che li tenga sempre al caldo, riparati da un mondo freddo, senza che debbano sforzarsi in nessun modo (…) ). (…) E’ un mondo corrotto ( dal peccato originale: ndr ), il nostro, e non c’è armonia tra i nostri corpi, la nostra mente e l’anima..

Tuttavia, la caratteristica di un mondo corrotto è che il meglio non si può ottenere attraverso il puro godimento (…); ma attraverso la rinuncia, la sofferenza. La fede nel matrimonio cristiano implica questo: grande mortificazione. Per un cristiano non c’è alternativa. Il matrimonio può aiutarlo a santificare e a dirigere verso un giusto obbiettivo i suoi impulsi sessuali; la sua grazia può aiutarlo nella battaglia; ma la battaglia resta. Il matrimonio non lo potrà soddisfare (…) ( mai pienamente: ndr )

Queste cose non vengono quasi mai dette – nemmeno a quelle persone cresciute nella fede della Chiesa. (…) Quando l’innamoramento è passato o quando si è un pò spento, ( gli esseri umani:ndr ) pensano di aver fatto un errore e di dover ancora trovare la vera anima gemella. (…) Solo un uomo molto saggio, arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare! Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente ( in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione ) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato.

(…) Al di là di questa (… ) vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. (…) Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra (…).

( J. R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Lettere 1914-1973, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, trad. italiana, Bompiani, Milano 2001, pp.56-63, n.43).

venerdì 5 giugno 2009

MEDITAZIONE SULLE FERITE DELLA LINGUA


LO STECCATO

C'era una volta un ragazzo con un brutto carattere.

Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno.

Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato.

Nelle settimane seguenti, imparò a controllarsi e il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì giorno per giorno: aveva scoperto che era molto più facile controllarsi che piantare chiodi.

Finalmente arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò alcun chiodo nello steccato.

Allora andò dal padre e gli disse che per quel giorno non aveva piantato alcun chiodo.

Il padre allora gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non aveva perso la pazienza e litigato con qualcuno.

I giorni passarono e finalmente il ragazzo poté dire al padre che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato.

Il padre portò il ragazzo davanti allo steccato e gli disse: "Figlio mio, ti sei comportato bene ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato"!

Lo steccato non sarà mai più come prima.

Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste.

Puoi piantare un coltello in un uomo, e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà.

Una ferita verbale fa male quanto una fisica.

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L’amicizia è un dono che si riceve nella misura in cui lo si offre!
Ama il prossimo tuo con tutto te stesso e fai il possibile per non lasciare buchi nel tuo "steccato".

IO TUTTO POSSO IN COLUI CHE MI FORTIFICA (Fil. 4,13)



SAN GIUSEPPE MOSCATI, MEDICO E SANTO

La signorina Emilia Pavese, che nell’ospedale era testimone del lavoro intenso di Giuseppe Moscati, un giorno gli chiese da dove attingesse tanta forza. Moscati le rispose con le parole di S.Paolo: "Io tutto posso in Colui che mi conforta" (Fil., 4,13).

"La prolungata preghiera mattutina - scrive il p. Marranzini - quando l’alba gli permette appena d’intravedere dalla sua stanza l’abside e il campanile della chiesa del Gesù Nuovo, è l’inizio di un colloquio che in forma diversa dura ovunque si trovi, per via, in chiesa, nelle corsie dell’ospedale e anche in tram".

Molti di coloro che lo hanno conosciuto lo ricordano in preghiera, inginocchiato dinanzi al SS.Sacramento nella chiesa del Gesù Nuovo o di S.Chiara, particolarmente al mattino, prima di recarsi in ospedale. Così il Dott. Enrico Sica : "quotidianamente riceveva la S. Comunione", e l’avvocato Nicola Mastelloni: "Egli nell’ascolto della S. Messa, nel ricevere la Santa Comunione, nello stare davanti al Santissimo Sacramento dava segni di tanta devozione e raccoglimento di spirito da far trasparire chiaramente il grande amore che nutriva per Dio".

Abbiamo anche due testimonianze di persone che erano molto vicine al Santo, ne conoscevano le abitudini e soprattutto avevano con lui una certa familiarità. La prima è la signorina Emma Picchillo, donna di profonda spiritualità, vissuta per quasi tutta la vita nel Santuario di Pompei e molto vicina a Bartolo Longo.

Nel processo di beatificazione, ha deposto tra l’altro: "Si comunicava, per quanto io sappia, tutti i giorni, e molte volte con grande sacrificio. Difatti visitava infermi anche fuori Napoli, e di ritorno da tali visite, anche in un’ora avanzata, entrava in chiesa e si comunicava. Questo l’ho constatato io per quattro volte nel Santuario di Pompei, al suo ritorno da Amalfi, Salerno, Campobasso, dove si era recato per visitare infermi. In proposito ricordo che mi ha detto: "Quanta dolcezza provo nel comunicarmi ai piedi della Madonna, mi sembra di diventare più piccolo e Le dico le cose come sono".

Il gesuita Giovanni Aromatisi per vari anni era stato amico del prof. Moscati, ne conosceva bene le consuetudini di vita ed era suo consigliere spirituale. Nel processo ha detto che: "Frequentava la nostra chiesa del Gesù. Molte volte ha ascoltato e servito la mia Messa. Il culto del SS. Sacramento, fu il centro di tutta la sua vita. Tutte le volte che mi ha servito la Messa era tale lo sfavillio dei suoi sguardi, guardando l’Eucaristia, che difficilmente i miei occhi potevano sopportarlo; ero costretto ad abbassare gli occhi nel momento della Santa Comunione. Più di una volta a qualche giovane malato di debolezza, prescriveva questa ‘Cura di Eucaristia’, come sorgente di ogni fortezza".
Antonio Tripodoro s.j.

giovedì 4 giugno 2009

CHI NON PREGA NON PUO' SALVARSI!


ecco alcuni stralci tratti dall'opera di Sant'Alfonso "DEL GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA" (disponibile per il download gratuito dal sito totustuus.net)

SENZA LA PREGHIERA E’ IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE I COMANDAMENTI

[...] E quel che più mi affligge, vedo che i predicatori e confessori poco attendono a parlarne dell'importanza della preghiera ai loro uditori e penitenti; e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza. Mentre invece tutti i predicatori, confessori e tutti i libri, non dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa del pregare. Essi infatti inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza dei Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditare le Massime eterne, ed altri mezzi (non lo nego) utilissimi: ma a che servono, io dico, le prediche e meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol concedere le grazie se non a chi prega? Chiedete ed otterrete (Gv 16,24).
Senza la preghiera (parlando secondo la Provvidenza ordinaria) resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi, e tutte le nostre promesse. Se non preghiamo saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione sta qui: che a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i divini precetti non bastano i lumi da noi ricevuti, e le considerazioni e i propositi da noi fatti, ma vi è bisogno di una grazia attuale di Dio; e il Signore questo aiuto attuale (come appresso vedremo) non lo concede, se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni ed i buoni propositi concepiti, servono a stimolarci a pregare nei pericoli e nelle tentazioni per ottenere il divino soccorso, che ci preservi poi dal peccato. Ma se allora non preghiamo, saremo perduti.

[..........]Che poi l’orazione sia l’unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma più distintamente San Tommaso, dicendo che il Signore tutte le grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che per l’orazione (2, 2.ae, q. 83, 2). E lo stesso scrisse S. Gregorio: Gli uomini pregando meritano di ricevere ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare (Lib. i. Dial. cap. 8). Non già, dice S. Tommaso, è necessario di pregare, affinché Iddio intenda i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni per salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni (Ibid. ad 1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di pane col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie alla salute per mezzo della preghiera, dicendo: "Chiedete ed otterrete, cercate, e troverete" (Matth. 7,7).
Noi insomma, altro non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto ci dona Dio per elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18). Il Signore, dice S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie, ma non vuol dispensarle se non a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si protesta con dire: Chiedete ed otterrete. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l’umore è necessario alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria a noi l’orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo, che: siccome il corpo senza dell’anima non può vivere, così l’anima senza l’orazione è morta, e manda cattivo odore (De or. D. l. i.). Dice, manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia a puzzare di peccati. Si chiama anche l’orazione cibo dell’anima perché senza cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l’orazione, dice S. Agostino, non può conservarsi in vita l’anima (De sal. doc. c. 28). Tutte queste similitudini che adducono questi santi Padri, denotano l’assoluta necessità, ch’essi insegnano d’esservi in pregare per conseguire la salute.

[.......] Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo dell’orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce e la forza bastante per osservarli?

[......] Non possiamo già credere, dice S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci l’osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far le cose difficili con l’aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI, cap. LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad ottenere con l’orazione l’aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb. c. 16). E in altro luogo: La legge fu data affinché domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge (De sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la grazia; e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: La legge è buona per chi ne usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge? (Serm. 156).
E risponde: riconoscere per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino aiuto onde conseguire la salute (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, affinché poi impetriamo, col pregare, l’aiuto divino che sana la nostra debolezza.
Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che possiamo resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo con tutta umiltà alla sua misericordia (Serm. v. De Quadrag.). Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la preghiera otteniamo dalla sua misericordia l’aiuto a resistere.
Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura con l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: L’orazione è il presidio della pudicizia (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: ‘Tosto ch’io seppi come non poteva essere continente se Dio non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap 8,21). La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda certamente l’otterrà.
Pertanto dice S. Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre forze, lo possiamo nondimeno con l’aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né dicasi, che sembra un’ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini diritto; no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il modo di trovare rimedio al suo difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la colpa è sua (De perfect. iust. c. III).
Insomma, dice lo stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare (S. 55. in app.). Ed all’incontro, dice S. Francesco d’Assisi, che senza orazione non può sperarsi mai alcun buon frutto in un’anima. A torto dunque si scusano quei peccatori che dicono di non aver forza di resistere alla tentazione. Ma se voi, li rimprovera S. Giacomo, non avete questa forza, perché non la domandate? Voi non l’avete, perché non la cercate (Gc 4,2). Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli assalti dei nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l’Apostolo, e non permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: "Ma fedele è Dio, il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinché possiate sostenere" (1 Cr 10,13). Commenta Primasio: Con l’aiuto della grazia farà provenire questo, che possiate sopportare la tentazione. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte: quando noi gli domandiamo l’aiuto, allora egli ci comunica la sua fortezza, e potremo tutto, come giustamente vi prometteva lo stesso Apostolo dicendo: "Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto" (Fil 4,13). Non ha scusa dunque, dice S. Giovanni Crisostomo, chi cade perché trascura di pregare, poiché se avesse pregato, non sarebbe restato vinto dai nemici (Serm. De Moyse).

[.....] Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.

[.....] Come il re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non gli chiede soccorso; così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente.

[....] Poveri figli miei, dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso dei vostri peccati, non vi perdete d’animo, ricorrete a me con l’orazione, ed io vi darò la forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt 11,28).
In altro luogo dice per bocca d’Isaia: "Uomini, ricorrete a me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non lasciate di venire: e vi do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che sarete a me ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve" (Is 1,18).
Che cos’è la preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un’ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità" (Hom. De Consubst. cont. Anon.). Che fa la preghiera? La preghiera, dice S. Lorenzo Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini da ciechi in illuminati, da deboli in forti, da peccatori in santi (De Perfect., c. 12). Chi ha bisogno di luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch’io sono ricorso a Dio, disse Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap 7,7). Chi ha bisogno di fortezza, la chieda a Dio, e gli sarà donata: subito ch’io ho aperta bocca a pregare, disse Davide, ho ricevuto da Dio l’aiuto (Sal 118,131). E come mai i santi Martiri acquistarono tanta fortezza da resistere ai tiranni, se non con l’orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti, e la morte?
Chi si serve insomma di questa grande arma dell’orazione, dice san Pier Crisologo, non cade in peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin da questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). Che serve dunque angustiarsi col dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia efficace e la perseveranza? Non vi affannate per niente, dice l’Apostolo, ma in ogni cosa siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell’orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie (Fil 4,6). Che serve, dice l’Apostolo, confondervi in queste angustie e timori? Via, discacciate da voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non valgono che a scemarvi la confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via della salute. Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e ringraziatelo sempre delle promesse che v’ha fatte, di concedervi i doni che bramate, sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la salute e tutto quello che desiderate.
Il Signore ci ha posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a resistere (1 Cr 10,13). E’ fedele perché subito soccorre chi l’invoca. Scrive il dotto eminentissimo cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per altro a darci sempre una grazia che sia uguale alla tentazione, ma è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci per mezzo della grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza bastante con cui possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5, par. 3). Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che umilmente lo chiede, onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere dalla tentazione. Restiamo vinti solo per nostra colpa, perché non preghiamo. Con l’orazione, scrive S. Agostino, ben si superano tutte le insidie e forze dei nemici (De sal. doc. c, 28).

mercoledì 3 giugno 2009

DONNA, RISCOPRI LA TUA DIGNITA' !


dal sito www.fuocovivo.org

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio, ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt.5,27-28).

Dice San Paolo: "O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Diom e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" (1^Cor.6,19-20).


Oh donna, la moda ti ha svestita quasi del tutto, e non hai più vergogna! Sei convinta, anzi, di esserti aggiornata, di esserti liberata da certi “tabù” fastidiosi. In verità, tu hai semplicemente perduto il fascino più grande che possedevi: quello del pudore!
Rifletti un po’ seriamente…
- Tu affermi che, con le tue nudità, non fai nulla di male.
E perché, allora, i peccati e le violenze sessuali sono spaventosamente aumentati e i costumi morali sono scesi così in basso?
- Tu non hai, quasi mai, intenzione di peccare.
Malgrado questa tua intenzione di non voler peccare, resta il fatto che, con la tua nudità, provochi il maschio.
- Dici di non essere obbligata a preoccuparti di quanto potrà pensare l’uomo.
Ma parli come Caino, al quale non interessava il bene di suo fratello! Tu sei, per natura, così generosa che non sopporteresti che un tuo simile muoia nell’indigenza. Strana pietà la tua! Avverte i bisogni fisici di un corpo e non avverte i bisogni, ben più importanti, dello spirito!
- Ma io voglio essere semplicemente elegante e moderna.
Ma tu non puoi, per essere elegante e moderna, mettere sotto i piedi la legge della tua Fede e il bene spirituale dei tuoi fratelli!
- Ma tutte sono così!…
E non ti accorgi, così dicendo e facendo, di avvilirti profondamente? Vuoi regolarti secondo quanto dicono e fanno gli altri, o secondo la tua coscienza e la legge della tua Fede? Sei così schiava dell’opinione pubblica da temere più un “risolino” ironico che il giudizio di Dio? Ci tieni tanto ad essere libera e indipendente, e ti adatti così pecorilmente ad una tirannia anonima e capricciosa, qual è la moda? E la chiami modernità e libertà la tua?
- Gli uomini si sono oramai abituati anche a certe nudità!…
Lo credi?… Ma anche se così fosse, non ti è lecito profanare il tuo corpo mettendolo in mostra! Ma io ti dico: non ti illudere!… a certe nudità non ci si abitua mai! Quelli che dicono di essersi abituati, molto probabilmente o sono degli… anormali o degli… ipocriti viziosi! Ricordati bene: i casti di corpo e di mente non si abitueranno mai! Le tue nudità, perciò, rischiano sempre di rovinare un fratello!
- Né dire che tu sei molto più modestamente vestita di tante altre…
E’ una illusione credersi a posto solo perché si è meno svestite… Anche quelle che hanno ridotto il vestito a uno straccetto, possono vantarsi di essere più coperte di altre!


Devi ritornare… donna! La donna è un prodigio di generosità, un tesoro di modestia e di pudore, un angelo di conforto. Ma la donna provocante mette in moto i sensi e gli istinti. Ti meravigli, poi, che il maschio ti consideri, spesso, solo femmina?
Torna ad essere donna e cristiana. Vestiti con dignità e modestia… Hai tutto da guadagnare! Sarai spiritualmente più libera e più forte. Sarai anche più apprezzata, più desiderata, più rispettata!


Guai ai genitori che danno scandalo e che permettono ai figli di dare scandalo in società! Guidate i figli con l’esempio e la parola, con la vigilanza e la preghiera, con l’amore e, talvolta, con la verga. La responsabilità maggiore della moda indecente pesa sopra di voi, o perché ne date il triste esempio, o perché la permettete senza rimorso, o perché siete troppo deboli nell’educazione della prole! Questi sono peccati di cui renderete conto alla Giustizia Divina!


“Fuggire le occasioni prossime di peccato”. State attente a non frequentare certi luoghi dove l’indecenza sembra legalizzata: come certe spiagge, discoteche, locali di ritrovo, ecc.


“Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1^Gv.5,19). L’opera diabolica penetra dappertutto. Satana gode nel vedere queste donne al suo servizio e già conta di averle nell’Inferno. La Divina Giustizia distrusse le città immorali di Sodoma e Gomorra.
O donne, siate modeste! Non rimanete come strumenti nelle mani di Satana! Operate affinché non si compiano castighi Divini per tali vanità.


“Nudità”. Questa parola indica solo la pelle non coperta, ma vale anche per coloro che indossano vestiti maschili, vestiti trasparenti, aderenti, o che comunque mettono in risalto le forme, le quali hanno effetti rovinosi peggiori dei minivestiti!

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La Donna e' lei fattrice - e primo elemento formativo di tutto

il genere umano. Facile abituarsi, fino a perdere il senso critico,

ma non buoni costumi non portano avanti, traviano e portano

sicura rovina la Società umana anche piu' avanzata.

Visto che tutto sta andando inerzialmente in rovina,

occorre rendersi conto che qualcosa di fondo non va.



Il fascino della donna, sta nelle qualità proprie della Donna

- non nell'emulare il maschio

- non nello svilire il maschio

- non nello sfidare il maschio.


Questo invalso costume - porta solo ad alterare le qualità

positive dell'uomo - solo a produrre lotta tra i sessi.

E la lotta tra i sessi - causa poi infidi comportamenti di

difesa - perdita di identità e caduta di reciproche responsabilità.

Pudore della Donna non c'e' neanche se chiusa fino al collo

in sacco di juta, se la Donna non ha in sé amore

e cura per il suo valore di Donna.

Pregio della Donna - che piu' attrae e piu' suscita ammirazione

e sinceri sentimenti nell'uomo - e' il suo sentirsi e piacersi Donna.

E' nel valersi Donna che nasce spontaneo il Pudore !

La seduzione indecente buttata in faccia all'uomo, solo per un

momento schiavizza l'uomo; ma e' la Donna che a lungo ci perde

e piu' diventa schiava di insane brame.

Perciò la coppia non tiene e non crescono relazioni di fidati sentimenti

- perché ormai non ha piu' fondamentali valori di scambio.

Guardate intorno e guardate dentro le famiglie, il disastro e le sofferenze

gridate da figli innocenti, spesso solo per futili capricci di Donna.

E badate che non dico Madri - pure che abbiano generato dei figli -

perché Madri, veramente Madri, amano per loro stessi i loro figli.

E mai li metterebbero allo sbando con divorzi e separazioni,

solo per futili capricci di donna.

E le conseguenze si moltiplicano senza fine ...

Guardate intorno: la Donna di costume, adesso, e' sicuramente

non piu' nella giusta Dignità. E tira a fondo anche la Dignità

dell'uomo, fidanzato, marito o compagno.

S'intende che ancora Donne valide esistono: fanciulle, compagne

e Madri di famiglia, che sono forza e Benedizione nella Società umana.

Ma oltre non c'e' piu' gioia d'amore, non c'e' piu' fedeltà che tenga,

perché l'uomo si sente defraudato, avvilito, insicuro,

persino nel focolare domestico.

E oltre non c'e' piu' nemmeno la forza della vita.

Guardate e sapete: Casalinghe perfino che guardano soldi del sesso

in mano, con andamento di prostituzione.

Natiche in vista, violenza e perversione vanno bene insieme.

Frivolezza, inaffidabilità della Donna - mortifica

e distrugge la Dignità dell'uomo.

Per amare e farsi amare dall'Uomo, non c'e' piu' la giusta disposizione.

Ma per vendersi il corpo per gioco o soldi in andamento erotico,

c'e' la giusta disposizione.

In piu' tutto sesso malato - e concepimento di bimbi che non nascono

- perché bisogna nascondere, buttare via. Perciò aumenta la sterilità,

ma ne profitta la scienza con inseminazioni artificiali.

Di vere cause anche psicologiche non si parla mai.

Avanti così e la genetica naturale verrà sempre meno - e sempre

piu' figli fatti nascere a forza artificialmente.

Conseguenze di tare ereditarie e sempre piu' basse difese immunitarie,

si vedranno poi...

Ma fenditura di valori verrà a parte con Donne libere e serene che si

piacciono Donne e Madri.

Dio metterà la mano intorno per fare pulizia in questo sordido

andamento.

E al futuro, vi sarà sicuramente una ripresa di valori:

sentimenti veri: piu' responsabilità e piu' validità nella Donna.

Pace. Che Dio scenda Pace e Amore

tra Uomo e Donna

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Aveva profetizzato la piccola veggente di Fatima, la beata Giacinta Marto, nel 1917: 'Verranno certe mode che offenderanno molto Nostro Signore. Le persone che servono Iddio non debbono seguire le mode. La Chiesa non ha mode. Nostro Signore è sempre lo stesso. I peccati che portano più anime all'Inferno sono i peccati impuri. Se gli uomini sapessero che cos'è l'eternità, come farebbero di tutto per cambiare vita!...'


“Desidero che voi tutti, miei carissimi figli spirituali, attacchiate con l’esempio e senza alcun rispetto umano una santa battaglia contro la moda indecente. Dio sarà con voi e vi salverà!… Le donne che cercano la vanità nelle vesti non possono sentirsi mai appartenere a Cristo, e codeste perdono ogni ornamento dell’anima non appena questo idolo entra nei loro cuori. Si guardino da ogni vanità nei loro vestimenti, perché il Signore permette la caduta di queste anime per tali vanità”.
(San Pio da Pietrelcina)

GRAZIA SU GRAZIA E’ UNA DONNA PUDICA, NON SI PUO’ VALUTARE IL PESO DI UN’ANIMA MODESTA (Sir. 26,15)

martedì 2 giugno 2009

ADORNIAMOCI DI PUREZZA E SOBRIETA' NEL VESTIRE


dal sito: gabriella50.wordpress.com

Padre Pio aveva molto a cuore la virtù della purezza, messa, già ai suoi tempi, a dura prova dalle prime minigonne ed abiti scollati e sbracciati. Egli era, infatti, ben consapevole degli effetti nefasti della moda indecente, che induce molte anime ad acconsentire al peccato grave.

San Pio esercitò durante tutta la sua vita la virtù della purezza in grado eroico e, conoscendone il sommo valore per il raggiungimento del Regno dei Cieli, voleva che anche gli altri la conservassero intatta da ogni contaminazione di peccato e la custodissero gelosamente.

Della donna Padre Pio aveva un concetto altissimo e ciò lo spingeva a denunciare tutto ciò che denigrava e sviliva la dignità femminile e che riduceva la donna ad un puro oggetto di piacere, in particolare la moda. Già prima degli anni sessanta, quando ancora non imperava la moda delle minigonne, prevedendo le future tendenze della moda che avrebbero svestito le donne, Padre Pio si preoccupava di instillare in loro l’amore alla modestia e la decenza nel vestire. Esigeva quindi in modo intransigente che le donne fossero vestite decentemente, come conviene a persone timorate di Dio, prendendo come riferimento di condotta la Madonna, insigne modello di purezza immacolata. Il Santo soffrì molto per le mode scandalose, che definiva «un tremendo male» per le anime, perché inducono gli uomini al peccato, ai cattivi pensieri e ai torbidi desideri. Non poteva sopportare che le donne mercificassero il loro corpo vestendo in modo provocante per attirare su di sé l’attenzione maschile.

Padre Pio aveva tanto a cuore il problema della purezza che le norme di condotta cristiana riguardo all’abbigliamento diventarono anche oggetto di lettere ai suoi figli spirituali.

Tra i suoi molti scritti si legge infatti:

«Le donne che cercano la vanità delle vesti non possono mai vestirsi della vita di Gesù Cristo e codeste perdono ogni ornamento dell’anima,non appena entra questo idolo nei loro cuori. Il loro abito, come vuole san Paolo, sia decentemente e modestamente ornato, senza vesti che abbiano sentore di lusso e ostentazione di fasto».

In questo, il Santo del Gargano si riallacciava mirabilmente al messaggio della Madonna di Fatima, che aveva preannunciato alla beata Giacinta, la più piccola dei tre pastorelli, la venuta di mode che avrebbero offeso Nostro Signore.
Tutte le figlie spirituali di Padre Pio seguirono il suo accorato consiglio di allungare l’orlo della gonna fin sotto il ginocchio per controbilanciare il male che facevano le altre donne col portare le minigonne e abiti indecenti. In confessionale, Padre Pio sbatteva molto spesso lo sportello in faccia alle penitenti che si presentavano in abiti disdicevoli alla sacralità del luogo …

Redarguiva con durezza anche quelle donne che, prima di presentarsi a lui, aprivano la cerniera e facevano scendere la gonna perché sembrasse più lunga. Spesso si sentivano frasi simili: «Pagliaccio … », «Vestiti da cristiana!», «Sciagurata, va’ a vestirti!», «Ti segherei le braccia … perché soffriresti di meno di quello che soffriresti in Purgatorio … le carni scoperte bruceranno!»

Un giorno, una signora, per andare a confessarsi da lui, si allungò occasionalmente la gonna, ma il Santo se ne accorse e la mandò via.
Il pomeriggio la stessa signora fu presentata al Padre come una grande benefattrice, ed egli dispiaciuto disse: «E io stamattina ti ho dato il benservito ma sappi, Signora, lo rifarei anche ora». Ma la signora, che aveva imparato la lezione, lo ringraziò amabilmente per la riprensione.

Neppure gli uomini uscirono indenni dalla crociata di Padre Pio sulla decenza nel vestire. Ad un uomo, che era andato a confessarsi da lui in maglietta senza maniche, intimò con una fermezza che non ammetteva repliche: «Vagliò, o ti allunghi le maniche o ti accorci le braccia!»



“Desidero che voi tutti, miei carissimi figli spirituali, attacchiate con l’esempio e senza alcun rispetto umano una santa battaglia contro la moda indecente. Dio sarà con voi e vi salverà! Le donne che cercano la vanità nelle vesti non possono mai appartenere a Cristo, e codeste perdono ogni ornamento dell’anima non appena questo idolo entra nei loro cuori. Si guardino da ogni vanità nei loro vestimenti, perché il Signore permette la caduta di queste anime per tali vanità”.

(San Pio da Pietralcina)

lunedì 1 giugno 2009

GIUGNO, MESE DEDICATO ALLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESU'


dal sito http://www.floscarmeli.org

Una delle devozioni più diffuse tra il popolo cristiano è la devozione al sacro Cuore di Gesù. Non si tratta tuttavia di una devozione fra tante, perché è stata rivestita dalla Chiesa di una dignità tutta particolare e si situa al centro della rivelazione cristiana.

Il documento guida in materia è certamente l'enciclica di Pio XII, Haurietis aquas (Attingerete alle acque) del 15 maggio 1956, testo che andrebbe letto e meditato per intero. Questa devozione - contenuta in germe nella Sacra Scrittura, approfondita dai santi Padri, dai Dottori della Chiesa e dai grandi mistici medioevali - ha avuto un particolare incremento e la sua configurazione odierna in seguito alle apparizioni di Gesù Cristo a santa Margherita Maria Alacoque, nel monastero di Paray-le-Monial, a partire dal 27 dicembre 1673.
Da allora, superate numerose difficoltà teologiche e liturgiche, si è diffusa rapidamente fra tutte le categorie del popolo cristiano, mentre la Chiesa la ha elevata alla dignità liturgica di «solennità». In effetti essa rappresenta il centro della spiritualità cristiana e la chiave di comprensione insieme più semplice e più profonda di tutta quanta la storia della salvezza.
Non è un caso che le apparizioni a santa Margherita Maria si situino nel momento cruciale di affermazione del mondo moderno e che il simbolo del sacro Cuore sia apparso sempre come il più caratteristico in tutti i movimenti di resistenza alle correnti anticristiane della modernità.
Pio XII sottolinea che - nonostante l'importanza di Paray-le-Monial per il suo sviluppo - l'origine della devozione è nella Scrittura. E' lo stesso Gesù che per primo presenta il suo Cuore come fonte di ristoro e di pace: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,28-30).
In san Giovanni si legge come venne trafitto il Cuore di Cristo, l'uscita da esso del sangue e dell'acqua e il particolarissimo significato simbolico che il quarto evangelista attribuisce al fatto (Gv 19,33-37). Anche nell'Apocalisse Gesù è presentato come un Agnello «ucciso», cioè «trafitto» (cfr. Apoc 5,6; 1,7).
Detto questo le apparizioni a santa Margherita Maria conservano un'importanza eccezionale. Si dovrebbe anzi dire che nella storia della Chiesa nessun'altra comunicazione divina - al di fuori della Bibbia - ha ricevuto tante approvazioni e incoraggiamenti dal magistero della Chiesa come le rivelazioni del Cuore di Cristo a Paray-le-Monial.
In esse sono particolarmente famose «le dodici promesse». Come nella Bibbia, Dio lega il suo intervento a delle «promesse». Se l'Alleanza in Gesù Cristo si è fatta definitiva, essa è tuttavia ancora aperta nella storia, perché continuamente offerta alla libertà dell'uomo, finché dura il tempo in cui si può meritare. Al «vero devoto» del sacro Cuore, cioè a chi è ben convinto di essere, con i propri peccati, colui che ha «trafitto» il Cuore di Gesù e, consapevole del suo amore immenso, vive la propria vita nella prospettiva della riparazione, queste promesse sono di nuovo offerte. E «Dio è fedele» (1 Cor 10,13). Eccole, secondo la prima antica lettura:

Le dodici promesse

1. Darò loro (alle persone devote del mio Cuore) tutte le grazie necessarie al loro stato.
2. Metterò la pace nelle loro famiglie.
3. Le consolerò in tutte le loro afflizioni.
4. Sarò il loro rifugio in vita e soprattutto nella loro morte.
5. Benedirò le loro imprese.
6. I peccatori troveranno misericordia.
7. I tiepidi diventeranno ferventi.
8. I ferventi saliranno presto a grande perfezione.
9. Benedirò il luogo dove l'immagine del mio Cuore sarà esposta e onorata. 10. Darò loro le grazie di toccare i cuori più duri.
11. Le persone che propagano questa devozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non sarà mai cancellato.
12. Io prometto nell'eccesso grande di misericordia del mio Cuore che il suo amore onnipotente accorderà a tutti coloro che si comunicheranno il primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale e non morranno in mia disgrazia né senza ricevere i sacramenti e il mio Cuore sarà per essi un asilo sicuro negli ultimi momenti.