venerdì 27 febbraio 2009

ALCUNI PENSIERI DI CHARLES DE FOUCAULT


tratto da: Charles De Foucald, Come un Chicco di grano, Edizioni Paoline, Milano, 2002

"CHI AMA, IMITA"

«Silenziosamente, nascostamente come Gesù a Nazareth, oscuramente, come lui, voglio «passare sconosciuto sulla terra, come un viaggia­tore nella notte», poveramente, laborio­samente, umilmente, dolcemente, facen­do il bene come lui, disarmato e muto di­nanzi all'ingiustizia come lui; lasciando­mi, come l'Agnello divino, tosare ed im­molare senza resistenza né parlare; imi­tando in tutto Gesù nella sua vita a Nazareth e, giunta l'ora, nella sua Via Crucis e nella sua morte» (OS, 356-357).

Desidero seppellirmi fin da ora nella vita di Nazareth come egli si seppellì per trent'anni, facendo per quello che mi è possibile tutto il bene che lui face­va, senza cercare di fare ciò che lui non cercava di fare... Considererò tutto il re­sto, benché appaia molto seducente, co­me una tentazione» (OS, 675).

Mio Gesù,
la tua fu una vita di umiltà:
tu che sei Dio, ti sei fatto uomo
e sei apparso come l'ultimo degli uomini. La tua fu una vita di abiezione: sei sceso fino all'ultimo tra gli ultimi posti. Hai vissuto coi tuoi genitori a Nazareth, per vivervi della loro vita, della vita dei poveri operai, del loro lavoro. La tua vita fu come la loro povertà e la loro fatica; essi erano sconosciuti, e tu sei vissuto all'ombra del loro nascondimento. Sei stato a Nazareth, piccola città sperduta, nascosta tra le montagne, da cui «niente usciva di buono», ritirato dal mondo, lontano dalle grandi capitali: e tu sei vissuto in questo ritiro. Eri sottomesso ai tuoi genitori: la tua vita fu una vita di sottomissione filiale: essa fu quella del modello dei figli, vivendo tra un padre e una madre poveri operai. Ecco ciò che fu la tua vita a Nazareth! Grazie, grazie, grazie! (Scritti Spirituali - SS, IX l I, 51-52)

Bisogna cercare di impregnarci dello spirito di Gesù leggendo e rileggendo il Vangelo, meditando e rimeditando sen­za sosta le sue parole e i suoi esempi: che essi facciano nelle nostre anime co­me la goccia d'acqua che cade e ricade su una lastra di pietra sempre allo stes­so posto (OS, 139).

La perfezione sta nell'essere come il Maestro... Il nostro Maestro è stato disprezzato, il servo non deve essere onorato; il Maestro è stato povero, il servo non deve essere ricco; il Maestro ha vissuto col lavoro delle sue mani, il servo non deve vivere con le proprie rendite; il Maestro andava a piedi, il servo non dovrebbe andare a cavallo; il Maestro stava in compagnia dei picco­li, dei poveri, degli operai; il servo non deve stare insieme ai grandi signori; il Maestro è passato per un operaio, il servo non deve passare per un gran personaggio; il Maestro è stato calunniato, il servo non deve essere lodato; il Maestro è stato mal vestito, mal nutrito, male alloggiato, il servo non deve essere ben vestito, ben nutrito, bene al­loggiato; il Maestro ha lavorato, si è affaticato, il servo non deve riposarsi; il Maestro ha voluto apparire piccolo, il servo non deve voler apparire grande... Imitiamo Gesù in tutto, qui sta la perfezione: Gesù è Dio... Dio è perfetto

Noi non dobbiamo né agire senza pre­gare (questo mai) né pregare senza agi­re, quando abbiamo i mezzi per agire; dobbiamo agire pregando, e se non ab­bianmo alcun mezzo di agire, acconten­tiamoci di pregare (OS, 163).

Tutta la nostra vita, per quanto mu­ta essa sia, la vita di Nazareth, la vita del deserto, così come la vita pubblica, devono essere una predicazione del vangelo mediante l'esempio; tutta la no­stra esistenza, tutto il nostro essere de­ve gridare il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutti i nostri atti, tutta la nostra vita de­vono gridare che noi apparteniamo a Gesù, devono presentare l'immagine della vita evangelica; tutto il nostro es­sere deve essere una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia ve­dere Gesù, che risplenda come un'im­magine di Gesù (OS, 393).

La fede dell'anima e la fede nelle ope­re, l'una e l'altra riunite, compongono la fede vera, la fede viva: una fede senza le opere non sarebbe fede, sarebbe una fede morta, sarebbe una derisione del­la fede (OS, 148).

Amiamo ogni uomo perché è nostro fratello e perché Dio vuole che lo consi­deriamo e lo amiamo tenerissimamen­te come tale, perché egli è il figlio del Dio beneamato e adorato e perché è co­stato il sangue di nostro Signore, ama­to da Dio fino a dare per lui suo Figlio. Stimiamo, amiamo dal profondo del cuore ogni uomo in vista di Dio, nostro Padre comune (OS, 85-86).

L'amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuole amare, si ama; quando si vuole amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa (OS, 772).

Pensate molto agli altri, pregate mol­to per gli altri. Dedicarsi alla salvezza del Prossimo con i mezzi in vostro pote­re, la preghiera, la bontà, l'esempio, è il miglior mezzo per dimostrare allo Sposo divino che voi l'amate.

L'amore non giudica colui che ama, ma cerca di scusarlo, prega per lui, sup­plica per lui; si è indulgenti verso chi si ama... Agiamo così per umiltà: guar­diamo la trave del nostro occhio, piut­tosto che la pagliuzza del prossimo; per il raccoglimento: contempliamo Dio, te­niamo la mente unita a Dio e non di­straiamoci a guardare le creature, a giu­dicarle; per bontà: abbiamo un cuore dolce, soave, senza asprezze. La carità non si mette a riflettere sul male: «essa tutto crede, tutto spera» (OS, 204).

Compassione, dolore per i mali delle anime e dei corpi del prossimo, tenera af­flizione per i peccati, le sofferenze, le in­fermità morali e fisiche... Questo dolore sarà tanto più vivo quanto più il nostro amore per gli uomini sarà grande, e cioè quanto più elevato sarà il grado in cui noi avremo la virtù della carità (OS, 195).

giovedì 26 febbraio 2009

BENEDETTO XVI: SIA UNA QUARESIMA DI CONVERSIONE

Benedetto XVI propone una Quaresima di conversione


Presiedendo il rito delle Ceneri



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 25 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Presiedendo la Stazione quaresimale nella Basilica di Santa Sabina all'Aventino, in occasione del Mercoledì delle Ceneri, Benedetto XVI ha lanciato un sentito appello alla conversione.

Per raggiungere questo obiettivo, il Papa ha proposto di vivere i quaranta giorni che preparano ala passione, morte e risurrezione di Cristo nel permanente ascolto della Parola di Dio.

Il rito è iniziato alle 16.30 nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, a Roma, con un momento di preghiera, seguito dalla processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina.

Alla processione hanno presso parte Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, i monaci benedettini di Sant’Anselmo, i padri domenicani di Santa Sabina e i fedeli.

Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Pontefice ha presieduto la celebrazione eucaristica, nella quale ha ricevuto l'imposizione delle Ceneri.

Durante l'omelia, ha esortato i presenti a “ricevere le ceneri sul capo in segno di conversione e di penitenza”, aprendo “il cuore all’azione vivificante della Parola di Dio”.

“La Quaresima, contrassegnata da un più frequente ascolto di questa Parola, da più intensa preghiera, da uno stile di vita austero e penitenziale, sia stimolo alla conversione e all’amore sincero verso i fratelli, specialmente quelli più poveri e bisognosi”, ha auspicato.

Ma “come essere vittoriosi nella lotta tra la carne e lo spirito, tra il bene e il male, lotta che segna la nostra esistenza?”, si è chiesto il Santo Padre.

Facendo esercizio di ascolto della Parola di Dio, ha citato proprio il brano evangelico della liturgia del Mercoledì delle Ceneri, che indica tre utili mezzi: “la preghiera, l’elemosina e il digiuno”.

L’uso di celebrare in Quaresima la Messa “stazionale” risale ai secoli VII-VIII, quando il Papa celebrava l’Eucaristia assistito da tutti i preti delle Chiese di Roma, in una delle 43 Basiliche stazionali della Città.

Dopo una preghiera iniziale si snodava la Processione da una Chiesa ad un’altra al canto delle Litanie dei Santi, che si concludeva con la celebrazione dell’Eucaristia.

Alla fine della Messa i preti prendevano il pane eucaristico (fermentum) e lo portavano ai fedeli che non avevano potuto partecipare, ad indicare la comunione e l’unità fra tutti i membri della Chiesa.

L’imposizione delle ceneri era un rito riservato dapprima ai penitenti pubblici, che avevano chiesto di venir riconciliati durante la Quaresima. Tuttavia, per umiltà e riconoscendosi sempre bisognosi di riconciliazione, il Papa, il clero e poi tutti i fedeli vollero successivamente associarsi a quel rito ricevendo anch’essi le ceneri.

La Stazione Quaresimale indica la dimensione pellegrinante del popolo di Dio che, in preparazione alla Settimana Santa, intensifica il deserto quaresimale e sperimenta la lontananza dalla “Gerusalemme” verso la quale si dirigerà la Domenica delle Palme, perché il Signore possa completare – nella Pasqua – la sua missione terrena e realizzare il disegno del Padre.

COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO: CHIARA LUBICH


Commento al Vangelo del giorno
Lc 9,22-25
Chi perderà la propria vita per me, la salverà.


Commentiamo questa parola di oggi con un testo di CHIARA LUBICH (fondatrice del movimento dei Focolari)
“Non credere che, perché sei nel mondo, tu possa nuotarvi come un pesce nell’acqua.
Non credere che, perché il mondo t’entra in casa attraverso certe radio e la televisione, tu sia autorizzato ad ascoltare ogni programma o a vedere ogni trasmissione.
Non credere che, perché giri per le strade del mondo, tu possa guardare impunemente tutti i manifesti e possa comprarti dal giornalaio o in libreria qualsiasi pubblicazione indiscriminatamente.
Non credere che, perché sei nel mondo, ogni maniera di vivere del mondo possa essere tua: le facili esperienze, l’immoralità, l’aborto, il divorzio, l’odio, la violenza, il furto.
No, no. Tu sei nel mondo. E chi non lo vede? Ma tu non sei del mondo .
E questo comporta una grande differenza. Questo ti classifica fra coloro che si nutrono non delle cose che sono del mondo, ma di quelle che ti sono espresse dalla voce di Dio dentro di te. Essa è nel cuore di ogni uomo e ti fa entrare - se l’ascolti - in un regno che non è di questo mondo, dove si vivono l’amore vero, la giustizia, la purezza, la mansuetudine, la povertà, dove vige il dominio di sé.
Non è del cristiano la vita comoda e tranquilla; e Cristo non ha chiesto e non ti chiede di meno, se lo vuoi seguire. Il mondo t’investe come un fiume in piena e tu devi camminare contro corrente. Il mondo per il cristiano è una fitta boscaglia nella quale bisogna vedere dove mettere i piedi. E dove vanno messi? In quelle orme che Cristo stesso ti ha segnato passando su questa terra: sono le sue parole.”


La voce dei Padri della Chiesa
Sforziamoci di lasciare quello che abbiam fatto di noi stessi col peccato e di restare quello che siamo stati fatti attraverso la grazia.
Ecco, chi è stato superbo, se convertendosi a Cristo è diventato umile, questo ha lasciato se stesso. Se un lussurioso s’è ridotto alla continenza, questi ha rinnegato se stesso. Se un avaro ha smesso di agognar ricchezze e lui, che rapiva l’altrui, ha imparato a donare il suo, senza dubbio questi ha lasciato se stesso.
Gregorio Magno

mercoledì 25 febbraio 2009



Medjugorje: messaggio del 25 febbraio 2009

Cari figli, in questo tempo di rinuncia, preghiera e penitenza vi invito di nuovo: andate a confessare i vostri peccati affinchè la grazia possa aprire i vostri cuori e permettete che essa vi cambi. Convertitevi, figlioli, apritevi a Dio e al suo piano per ognuno di voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

COME VIVERE LA QUARESIMA: BISOGNA PASSARE PER IL DESERTO

Bisogna passare per il deserto
Iniziare la Quaresima con Charles de Foucault e Annalena Tonelli
sabato 24 febbraio 2007.



Vi proponiamo, all’inizio di questa Quaresima, due scritti di Charles de Foucault e di Annalena Tonelli. Il filo conduttore è il deserto, la necessità di trovare tempi e spazi di silenzio, in cui scendere in se stessi e incontrare il Signore.



Charles de Foucault (beato, 1858-1916). Nasce a Strasbourg in una famiglia nobile. Dopo un’infanzia da orfano e un’adolescenza turbolenta, intraprende la carriera militare. E’ il primo europeo a esplorare il Marocco proibito. A 28 anni, la conversione. Condurrà una vita eremitica nel Sahara, come “fratello universale”, a contatto con i tuareg. Sarà assassinato da uno di loro nella sua abitazione.



Annalena Tonelli (1943-2003). Missionaria forlivese, ha vissuto per oltre 30 anni fra i Somali. Negli suoi ultimi 7 anni a Borama, Nord-Ovest della Somalia, ha riattivato ospedale e ambulatorio per la cura e prevenzione della tubercolosi. Oltre alle cure mediche, ha iniziato anche scuole di alfabetizzazione per bambini e adulti tubercolotici, corsi di istruzione sanitaria al personale paramedico, una scuola per bambini sordomuti e handicappati fisici. L’ONU l’ha insignita del prestigioso premio Nansen a Ginevra il 25 giugno 2003. E’ stata assassinata a Borama il 5 ottobre
2003


IN ASCOLTO
Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvici, per ricevere la grazia di Dio: è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio, e che si vuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo. Gli Ebrei sono passati per il deserto; Mosé vi è vissuto prima di ricevere la sua missione; san Paolo, san Giovanni Crisostomo si sono anch’essi preparati nel deserto...

E’ indispensabile... E’ un tempo di grazia, è un periodo attraverso il quale deve necessariamente passare ogni anima che vuol portare frutti. Le sono necessari questi silenzi, questi raccoglimenti, questi oblii di tutto il creato in mezzo ai quali Dio stabilisce il suo regno e forma in essa lo spirito interiore. La vita intima con Dio, la conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità. Più tardi, l’anima produrrà frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l’uomo interiore. Se questa vita interiore è nulla, per quanto zelo si possa avere, buone intenzioni e molto lavoro, i frutti saranno nulli: è una sorgente che vorrebbe dare la santità agli altri, ma non può perché non la possiede: si dà solo quello che si ha.

Ed è nella solitudine in questa vita, sola con Dio solo, in questo raccoglimento profondo che l’anima dimentica tutto il creato per vivere in unione con Dio, e che Dio si dà interamente a colui che si dona interamente a lui. Donatevi tutto intero a lui solo, mio amatissimo padre, durante questi anni di preparazione, di grazia, ed egli si donerà tutto intero a voi. In questo, non temete di essere infedele ai vostri doveri verso le creature; al contrario, è il solo mezzo per voi di servirle efficacemente.

Guardate san Paolo, san Benedetto, san Patrizio, san Gregorio Magno, e tanti altri: quale lungo tempo di raccoglimento e di silenzio! Salite più in alto: guardate san Giovanni Battista, guardate nostro Signore. Nostro Signore non ne aveva bisogno, ma ha voluto darci l’esempio. Rendete a Dio quel che è di Dio. (C. de Foucault, Lettera a p. Girolamo, 1898)


Il tempo in Africa si brucia in maniera incredibile. E il tempo per pregare è così difficile trovarlo anche se si è nel deserto. Il deserto ci è proprio necessario come l’acqua e come il pane e sappiamo già che continueremo ad abbandonare tutto ogni pochi mesi e a metterci sulle strade pellegrine dell’assoluto senza più nulla e senza più paura di nulla per andarci a fermare il più a lungo possibile in compagnia solo di Lui o comunque in luoghi fatti di pane e di silenzi di Dio... non siamo capite da nessuno naturalmente... ma lassù nel deserto la gente muore di fame e di abbandono... troppo comodo lasciare tutto e andare a ritirarsi in pace da qualche parte... certo, umanamente parlando, chi potrebbe dargli torto? Nessuno.

Ma il fatto è che a forza di passare la vita intera a dare da mangiare alla gente che ha ancora fame senza risolvere il loro problema, ma certamente donando me stessa nella sfibrante vita di ogni giorno nel dono totale del mio tempo, delle mie energie tutte, anche le più spente quando la testa mi si abbatte di colpo e non c’è sforzo di volontà che valga a tenerla dritta sul collo, nell’avvilimento e nella sfiducia di questo dare continuo che non costruisce, che non aiuta l’uomo, che non salva...

E allora? Sono certa... stavo per dire ogni giorno di più, ma forse è fuori luogo perché come potrei essere certa che non solo quei giorni, quelle settimane di “deserto” ogni anno sono necessari e vitali, ma che in quei giorni, in quelle settimane io faccio il lavoro più importante di tutti. Non c’è inseguimento, non c’è cura dei malati, non c’è sfamare gli affamati, non c’è lavoro di amicizia che regga al suo confronto. Quel deserto è l’azione più bella, più sacra della mia vita. Senza quel deserto io morirò piano piano alla carità vera, io tradirò l’Amore e vivrò magari dando via tutto, ma non vivendo l’Amore. Perché non si può vivere l’Amore se non si cresce ogni giorno nella conoscenza di Lui, perché noi, senza, non sappiamo amare veramente chi non conosciamo e una vita neppure basta per conoscere bene se non si è capaci di ascoltare, di guardare l’altro, di passare i mesi e gli anni a scoprire e a inventare i modi dell’amore... (A. Tonelli, Lettera a don Adriano, 26 maggio 1971)

PILATO E LA SUA INCONSAPEVOLE RIVELAZIONE


Il titulus crucis è l'iscrizione, riportata dai Vangeli, che sarebbe stata apposta sopra la croce di Gesù, quando egli fu crocifisso, per indicare la motivazione della condanna. L'esibizione della motivazione della condanna, infatti, era prescritta dal diritto romano.

Nelle rappresentazioni artistiche della crocifissione si indica tradizionalmente come titulus le sole quattro lettere INRI, iniziali dell'espressione latina «Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum», che traduce il testo greco del vangelo di Giovanni.

Secondo i Vangeli il cartiglio apposto sulla croce riportava come motivo della condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei» (Matteo 27,37) oppure «Gesù Nazareno, re dei Giudei», secondo il Vangelo secondo Giovanni (19,19)

Inoltre lo stesso vangelo afferma che, al leggerlo, i capi dei Giudei si recarono da Ponzio Pilato per chiedere che venisse corretto: secondo loro il titulus non doveva affermare che Gesù «era» il re dei giudei, ma che si era autoproclamato tale.
Pilato però rispose "Quod scripsi, scripsi" (Quello che ho scritto, ho scritto!), e si rifiutò di modificare la scritta (Giovanni 19,21-22).

Se, come riferito dal vangelo di Giovanni (19,20), l'iscrizione era stata scritta non solo in latino (e quindi INRI), ma anche in ebraico e in greco (la lingua più diffusa allora), è assai probabile che la scritta ebraica posta sulla croce fosse: "Yeshua Hanozri W(u)melech Hajehudim", cioè letteralmente: "Gesù il Nazareno e il Re dei Giudei". In tal caso le iniziali delle quattro parole corrisponderebbero esattamente con il tetragramma biblico, il nome impronunciabile di Dio, e questo motiverebbe ancor di più le proteste dei giudei.

Ecco che, incosapevolmente (o forse no...), Pilato rivelava al mondo chi è veramente quell'uomo che sta morendo sulla croce, il Figlio di Dio!

Solo una coincidenza?

Come sempre, c'è abbastanza luce per chi vuol vedere e abbastanza buio per chi non vuol vedere!

lunedì 23 febbraio 2009

QUESTA E' L'ORA DI SATANA (ANZI E' L'ORA DI MARIA...)


Dalla trasmissione di Rai2 "SULLA VIA DI DAMASCO" di sabato 21-02-2009, condotta da Don Giovanni D'Ercole


I parte
http://www.youtube.com/watch?v=4p5S9Ci8ips

Don Giovanni D'Ercole intervista Padre Livio Fanzaga sul tema del suo ultimo libro: "L'ora di Satana" (edizioni Piemme): Il male non è stato creato da Dio, ma sgorga dalla libertà creata prima negli angeli caduti e poi nel cuore degli uomini che si sono allontanati da Dio.


II parte
http://www.youtube.com/watch?v=cMekzSoggxI&feature=related

Al culmine di una carriera professionale coronata di successo e ricchezza, la ricerca di nuove esperienze porta Michela a incontrare un gruppo esoterico, che le promette emozioni e felicità. Dall'esoterismo all'ingresso in una setta satanica il passo è breve. E l'inizio di un'esperienza sconvolgente, che la porta a fare di tutto, tranne l'omicidio: messe nere, riti di iniziazione, sacrifici a Satana si susseguono in un vortice di pratiche diaboliche in cui, costantemente sotto l'effetto di stupefacenti, il contatto con la realtà si perde a poco a poco. Saliti a uno a uno i gradini della gerarchia interna alla setta, si trova infine incaricata di eliminare la fondatrice dell'Associazione "Nuovi Orizzonti". E a quel punto che capisce che non può andare oltre e, aggrappandosi alle ultime forze della volontà, decide di fuggire, trovando riparo proprio in una comunità di accoglienza di "Nuovi Orizzonti". Sconvolgenti sono le testimonianze di questo periodo: dal parlare lingue sconosciute al trovarsi in possesso di una forza sovrumana, dal non sentire alcun dolore fisico fino al camminare su pareti e soffitti. Tutti segni della presenza diabolica che la possiede. Fino a quando, dopo un intenso periodo di accompagnamento psicologico-spirituale e di esorcismi viene finalmente liberata dal maligno. A condizione di mantenere l'anonimato per non essere identificata - il nome fittizio di Michela è un omaggio a San Michele Arcangelo - ha accettato di raccontare tutta la sua storia in un libro pubblicato da Piemme ("FUGGITA DA SATANA - MICHELA - ED. PIEMME", 10 EURO)


III parte
http://www.youtube.com/watch?v=msKWx2EHjLU&feature=related

Intervista a padre Rufus Pereira, vicepresidente della associazione internazionale degli esorcisti.
Satana esiste davvero. Molti problemi non sono umanamente spiegabili e a questi problemi non esiste una normale soluzione umana o spirituale tranne quella di recitare la preghiera dell'esorcismo dalla liberazione dal maligno. Il problema della persona spesso subito dopo la preghiera è superato completamente.
Già Papa Paolo VI aveva dichiarato nell'udienza del 15 novrmbre 1972: "Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio".


IV parte
http://www.youtube.com/watch?v=dK4jkNw6_5g

Vicka di Medjugorje racconta la sua esperienza di quando la Madonna l'ha portata col corpo a visitare il Paradiso, il Purgatorio e l'inferno.
Oggi molti credono che con la morte finisca tutto, ma questo è un grande sbaglio. L'insegnamento della Regina della Pace è che la vita è un cammino verso l'eternità.

domenica 22 febbraio 2009

DALL'UOMO VECCHIO ALL'UOMO NUOVO: UN PASSAGGIO DA COMPIERE

DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA

Da un insegnamento tenuto a Rimini il 26 aprile 1985, durante l'VIII Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo


A sentire descrivere questa nuova esistenza suscitata dallo Spirito e tutta basata sull'amore, tanti, forse, si sono innamorati di essa. Proprio questo voleva ottenere la Parola di Dio: suscitare in noi il desiderio ardente di appartenere a questo nuovo mondo. Accanto al desiderio, però, può essere affiorato anche un senso di scetticismo e di scoraggiamento: dov'è, qualcuno si chiede, quella libertà, quella capacità di amare e di osservare i comandamenti? Dov'è quella vita nuova? P dunque tutto solo una bella, ma astratta teoria? E perché alcuni raggiungono tale vita nuova e tale libertà, mentire altri no?

S. Paolo risponde con poche parole a tutte queste domande nel seguito del suo testo: "Se con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere della carne, vivrete!" (Rm 8,13). E' stata pronunciata, così, la parola-chiave: mortificazione. Dall'uomo vecchio all'uomo nuovo c'è un solo ponte e questo ponte si chiama mortificazione. Ecco dove comincia la parte propriamente nostra. Lo Spirito "dà la vita", ci ha detto l'Apostolo all'inizio del suo testo, ma la dà "attraverso la mortificazione", ci dice ora al termine di esso. Il battesimo ha fatto di noi degli uomini nuovi; ma questa novità, per mantenersi, deve essa stessa rinnovarsi di giorno in giorno (cfr. 2 Cor 4,16). "Non pensare - scriveva Origene - che basti essere rinnovati una volta sola; bisogna rinnovare la stessa novità: 'Ipsa novitas innovanda est` (Origene, In Rom. 5,8; PG 14, 1042). La mortificazione dell'uomo vecchio è la condizione perché ci sia questo continuo rinnovamento.

Lo Spirito dunque dà la vita, ma la dà attraverso la morte. Come per Gesù! Egli fu "messo a morte nella carne" e per questo Dio lo rese "vivo nello Spirito" (cfr. I Pt 3,18). Il vero uomo nuovo è Gesù; non si può pervenire a essere uomini nuovi, se non "diventandogli conforme nella morte" (cfr. Fil 3, 10). "Se con lui moriamo, con lui anche vivremo" (2 Tm 2,11).

Quando noi parliamo della vita nuova nello Spirito, corriamo sempre il rischio di intendere tale espressione alla maniera umana, come un potenziamento e un accrescimento della precedente vita, come una risposta al nostro naturale bisogno e istinto di vivere, come una nuova ondata di vitalità che ci pervade piacevolmente corpo e anima. Invece vita nuova indica qualcosa di completamente diverso e più radicale; indica, alla lettera, una nuova vita, una vita che comincia daccapo, dopo l'intervento di una morte, Un viandante può dire di avere imboccato una via "nuova" in due sensi: o perché la via che percorreva prima è stata rinnovata, asfaltata, raddrizzata, o perché la via che percorreva prima è arrivata a una svolta e si è affacciata su un'altra strada. La vita nuova nello Spirito è nuova in questo secondo senso.

Accostiamoci dunque e guardiamo con atteggiamento nuovo questo volto della mortificazione che ci fa tanta paura. Gesù, una volta, disse: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto" (Gv 15,1-2). La mortificazione ha la stessa funzione che ha la potatura. In noi è stato innestato, nel battesimo, un germe di vita nuova. Guardiamo cosa avviene in agricoltura, quando si pratica un innesto. Per un po' di tempo, si lascia sussistere il resto dell'albero, perché non muoia il vecchio e il nuovo. Ma una volta che l'innesto ha attecchito e ha messo le prime gemme, il contadino taglia, pota, uno ad uno, tutti i rami dell'albero vecchio, altrimenti tutta la forza dell'albero sarà assorbita da essi e servirà a produrre solo i frutti selvatici che produceva prima.

Anche in noi permane, dopo il battesimo, il vecchio albero che è l'uomo vecchio. I suoi rami sono le diverse passioni e i suoi frutti selvatici sono le opere della carne. Di essi l'Apostolo ci dà, altrove, un elenco, dicendo che i frutti della carne sono: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere (cfr. Gal 5,19-21).

La santità, come la scultura, si ottiene, "per arte di levare", cioè eliminando le parti inutili. Si racconta che un giorno Michelangelo, passeggiando in un cortile di Firenze, vide un blocco di marmo grezzo ricoperto di polvere e fango. Si fermò di scatto a guardarlo, poi, come rischiarato da un improvviso lampo, disse ai presenti: "In questo masso di pietra è nascosto un angelo: voglio tirarlo fuori!". E si mise a lavorare di scalpello per dare forma all'angelo che aveva intravisto.

Così è anche di noi. Noi siamo ancora dei massi di pietra grezza, con addosso tanta "terra" e tanti pezzi inutili. Dio Padre ci guarda e dice: 1n questo pezzo di pietra è nascosta l'immagine del mio Figlio; voglio tirarla fuori, perché brilli in eterno accanto a me in cielo!". Se d'ora in poi sentiamo dei colpi di scalpello e vediamo dei pezzi di noi cadere a terra, cerchiamo di non ingannarci più. Non continuiamo a dire: "Che ho fatto di male? Perché Dio mi castiga così". Sforziamoci, piuttosto, di dire a noi stessi: "E' Dio che mi ama e vuole formare in me l'immagine del suo Gesù. Resisti, anima mia!". La croce è lo scalpello con cui Dio sci plasma i suoi eletti. E stato sempre così.

I più generosi, non solo sopportano i colpi di scalpello che vengono dall'esterno, ma collaborano anch'essi, per quanto è loro concesso, imponendosi delle piccole, o grandi, mortificazioni volontarie e spezzando la loro volontà vecchia. "Se vogliamo essere completamente liberati - diceva un Padre del deserto - impariamo a spezzare la nostra volontà, e cosi, poco a poco, con l'aiuto di Dio, avanzeremo e arriveremo alla piena liberazione dalle passioni. E' possibile spezzare dieci volte la propria volontà in un tempo brevissimo e vi dico come. Uno sta passeggiando e vede qualcosa; il suo pensiero gli dice: 'Guarda là!', ma lui risponde al suo pensiero: 'No, non guardo!', e spezza la sua velontà' (Doroteo di Gaza, Insegnamenti 1,20; SCh 92, p. 177).

Questo Padre porta esempi tratti dalla vita monastica che però è facile adattare ad altri stati di vita, per esempio a quello dei giovani. C'è uno spettacolo malsano alla televisione, un manifesto provocante sul muro, una rivista pornografica a portata di mano: l'uomo vecchio ti dice: "Guarda!" e ti fornisce contemporaneamente cento pretesti e scuse per farlo. Ma tu rispondi: "No!" e spezzi la tua volontà. C'è una discussione frivola tra amici; si sta parlando male di qualcuno: il tuo uomo vecchio ti dice: "Partecipa anche tu; di' quello che sai. Ma tu rispondi: "No!". E mortifichi l'uomo vecchio. Passi accanto a un compagno, a una compagna che non ami o che non ti ama e che ti è antipatico; il tuo orgoglio ti dice: "Stai sulle tue, e non rivolgergli la parola!". E tu invece fai un sorriso, dai un saluto, e vinci te stesso, spezzando il tuo orgoglio. Incontri un povero, magari un forestiero, che sai ti chiederà qualcosa; vorresti tirare diritto o cambiare strada, invece gli vai incontro per amore di Gesù: hai fatto vincere l'uomo nuovo.

Molte nobili battaglie vengono additate, oggigiorno, da molte parti, ai giovani: guerra alla droga, alla fame, alle ingiustizie, all'inquinamento, guerra alla guerra... Gesù ne addita ad essi una che è diversa da tutte le altre, senza la quale tutte le altre non sono che dei palliativi: la guerra al proprio "io", all'uomo vecchio. La guerra contro se stessi.

Nel battesimo e nella cresima (e poi nell'effusione dello Spirito che ha rinnovato, in molti di noi, questi sacramenti), noi siamo stati consacrati soldati di Cristo. Ma non dobbiamo ingannarci. t questa anzitutto la guerra per la quale siamo stati fatti soldati: "Prendi anche tu la tua parte di sofferenza come un buon soldato di Cristo", scriveva S. Paolo al suo giovane discepolo Timoteo (2 Tiri 2,3).

Dobbiamo fare il possibile, nel Rinnovamento nello Spirito, per riscattare la parola "mortificazione" dal sospetto che grava su di essa. L'uomo d'oggi, cedendo senza accorgersene ai richiami dell'uomO vecchio, si è creato una filosofia speciale, per giustificare e anzi esaltare il soddisfacimento dei propri istinti o, come si dice, delle proprie pulsioni naturali, vedendo in ciò la via all'autorealizzazione della persona umana. Come se, in questo campo, occorresse incoraggiare l'uomo con una apposita filosofia e non bastassero già, da soli, la natura corrotta e l'egoismo umano!

La mortificazione è vana ed è anch'essa "opera della carne", se fatta per se stessa, senza libertà, o, peggio, se fatta per accampare diritti davanti a Dio o trarne vanto dinanzi agli uomini. ~ così, purtroppo, che molti cristiani hanno conosciuto la mortificazione e ora hanno paura di ricadervi, avendo gustato la libertà dello Spirito. Ma c'è un diverso modo di considerare la mortificazione che la Parola di Dio ci ha additato, un modo tutto spirituale e carismatico, perché discende dallo Spirito: "Se, con l'aiuto dello Spirito, fate morire le opere della carne, vivrete!" (Rm 8,13). Questa mortificazione è frutto dello Spirito ed è per la vita.

S. Francesco d'Assisi riconciliò gli uomini del suo tempo con la povertà che tutti aborrivano, presentandola amorevolmente al mondo come una grande signora, come "Madonna Povertà". lo vorrei fare lo stesso con la mortificazione: presentarla a me stesso prima e poi a voi, come la sposa dello Spirito, come colei che si unisce allo Spirito per darci la vita. Come "Madonna Mortificazione"!

La mortificazione custodisce l'amore. "Se un uomo - scrive Kierkegaard - dice veramente e con sincerità: 'Dio è amore', costui non ha, per ciò stesso, che un unico desiderio: quello di amare Dio che è amore, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze. Quando Dio scopre un uomo che abbia un tale desiderio, subito gli dice: 'Sì, mio caro bambino, io ti sarò di aiuto, ti aiuterò a mortificarti perché senza questo tu non mi puoi amare'. Considera una situazione puramente umana. Se un amante non può parlare la lingua dell'amata, allora o lui o lei deve imparare la lingua dell'altro per difficile che sia, poiché altrimenti il loro rapporto non potrebbe diventare un rapporto felice, essi non potrebbero mai conversare insieme. E così anche con il mortificarsi per amore di Dio. Dio è Spirito; solo chi è mortificato, può, in qualche modo, parlare il suo linguaggio. Se non ti vuoi mortificare, allora non puoi neppure amare Dio; tu parli infatti di tutt'altre cose da lui" (Diario, a cura di C. Fabro, Brescia 1963, n. 2709).



Per il testo integrale:
http://digilander.libero.it/rinnovamento/documenti/cate_052.html

venerdì 20 febbraio 2009

GAY NON SI NASCE, SI DIVENTA

L’identità sessuale maschile.
Autore: Joseph Nicolosi Curatore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it
L’identità sessuale maschile: un incontro con Joseph Nicolosi, presidente NARTH.

Milano 5 giugno 2003, teatro Silvestrianum

Alcuni di voi ascoltatori sono operatori altri genitori, giovani, educatori. Alcuni vivono con problemi di omosessualità personali, altri affrontano problemi terapeutici, educativi, di informazione, di aiuto. Vorrei che nessuno ascoltando questa conversazione si sentisse in colpa e tanto meno i genitori: lo scopo è conoscere, educarci ed educare. Dopo avere ascoltato, dipenderà da voi decidere se quello che ho detto ha un senso anche per voi. Una breve presentazione del
nostro centro NARTH: (National Association for Research and Therapy of Homosexuality ) : abbiamo aiutato ad uscire dalla omosessualità soprattutto maschile indesiderata più di mille persone e seguiamo più di cento famiglie che hanno figli
con problemi di omosessualità. Nella clinica che dirigo, (S.Tommaso d'Aquino, Encino, California), siamo in 7 psicoterapeuti, riceviamo moltissime persone da tutti gli Stati Uniti e siamo in collegamento con altri centri che operano
nello stesso senso. Narth è una organizzazione non-profit affiancata dal centro terapeutico.
Cos'è l'omosessualità: il primo concetto che diamo al cliente/paziente che viene è che non è un problema sessuale ma di identità di genere.L'omosessualità è solo il sintomo di un arresto dello sviluppo della identità di genere maschile (o femminile, nel lesbismo).
I "sintomi" che i pazienti descrivono in genere al primo incontro sono un'immagine negativa di sé, la difficoltà stabilire e a mantenere una profonda intimità che non sia sessuale con altre persone, problemi di vergogna e molti sensi di colpa
riguardo al fatto di essere la persona che si è.
Un passo importante è quindi analizzare quali sono i 4 miti gay:
1. il 10% della popolazione è gay
2. gay si nasce,
3. se si è gay lo si è per sempre
4. l'omosessualità è normale sotto ogni aspetto.
Credere in 1+2+3+4 porta alla accettazione supina e fatalistica della propria situazione, anche quando la si vive nella sofferenza e nella menzogna (e ciò accade in più dell'80% dei casi).
Quale è invece la realtà?
1. solo l'1-2% della popolazione sviluppa questa tendenza nelle società occidentali. Studi seri al riguardo hanno dimostrato per l'omosessualità una bassa incidenza anche in condizioni sociali favorenti e si è visto che il mito del 10% nasce
dall'influenza del rapporto Kinsey, che essendo omosessuale "rinforzò" le statistiche più che riportare dati scientifici ed aggiornati.
2. gay non si nasce: nel 1991 vi fu un grande clamore alla notizia della scoperta del "cervello gay" giustificazione biologica di uno stile di vita ma dopo 10 anni nessuno studio ha potuto confermare questa osservazione e neanche gli attivisti gay si basano più su questa ipotesi.
(Simon Levay: inserire breve nota bibliografica e commento critico allo studio)
3. Non si è gay per sempre: pullulano oggi tantissime storie di cambiamento che a loro volta sono state incoraggiate e incoraggiano come testimonianza altri nello stesso percorso.
4. Nella realtà concreta, la stragrande maggioranza delle persone con comportamento omosessuale soffre, anche se maschera la sofferenza. Invece i mass edia "politically correct" modificano e gonfiano l'immagine dell'omosessuale,che appare sempre bello, curato, in pace con se stesso, positivo non erotizzato né libidinoso ma anzi equilibrato.
E'invece l'eterosessuale che viene mostrato come insicuro e negativo.
Bisogna a questo punto operare una distinzione tra tolleranza ed approvazione.
La tolleranza consiste in un atteggiamento di rispetto per le scelte delle persone, se compatibili con diritti umani e civili.
Spesso è difficile orientarsi in una selva di informazioni scollegate tra loro.
Approvazione : se ne può discutere! E' un diritto civile esprimere le proprie opinioni, l'accordo o il disaccordo a partire dalla esperienze, letture, fede religiosa etc. Anche voi qui presenti alla conferenza avete il diritto di approvare o
disapprovare le mie regioni. Quindi l'atteggiamento di rispetto di fronte a tutte le persone non significa approvare tutte le loro scelte.
Gay non equivale a omosessuale
Gay è infatti una identità politica costruita attorno alla rivendicazione di una preferenza sessuale come un diritto. I gay non parlano per tutti gli omosessuali, anzi osteggiano quelli che vogliono uscire da questa condizione bloccando
l'informazione su terapie , gruppi, esperienze che li metterebbero in crisi.
Omosessuale: non esiste l'omosessualità come identità di genere, siamo tutti eterosessuali solo che, come spiego ai genitori angosciati che vengono da noi, alcuni eterosessuali hanno problemi di omosessualità che si possono risolvere.
E'una bugia della nostra società che esistano due generi sessuali, "omo" ed "etero", anche se paradossalmente anche alcuni capi di chiesa ci credono. E' la seconda grande menzogna della nostra società (la prima è che l'aborto non è un
omicidio).
Una barzelletta esemplificativa: due gay vedono in strada una ragazza bellissima e uno dice all'altro" e' in momenti come questi che vorrei essere lesbica".

Tappe della identità sessuale maschile (non parliamo di quella femminile che è molto più complessa).
Da 1 anno e mezzo a 3 anni: fase della identificazione di genere
- prima fase androgina: il bambino è ancora molto unito alla madre e ama il padre. Può identificarsi con entrambi, non sceglie. La società lo spinge ad una scelta per esempio nel momento della comparsa del linguaggio, imparando a parlare deve dire lei per la mamma e lui per il papà, suo, suo, sua, etc.
- seconda fase: tentativi di mascolinità e disindentificazione dalla madre: il bambino sente di essere maschio come il padre e cerca di avvicinarsi a lui. Se la madre lo lascia libero ed il padre è affettuoso e lo accoglie il bimbo, amando il proprio essere maschio, si identifica.
- ferita narcisistica e distacco difensivo: se il bimbo è particolarmente sensibile ed il padre non lo accoglie oppure è una modello deludente, una persona che non si accetta oppure un violento o schiacciato dalla madre e non accetta il figlio, il bambino rimane ferito nel suo io (ferita narcisistica) e non si identifica con la mascolinità rappresentata dal padre.
Moltissimi attivisti gay hanno una struttura psichica per cui, avendo subito questa ferita narcisistica si sono distaccati dallo sviluppo verso la mascolinità. Chi lotta per la liberazione politica dei gay per lo più maschera e nega la sofferenza legata alla mancanza di identità di genere bloccando il desiderio di guarire dalla ferita narcisistica. E’ la pretesa di legittimazione della cristallizzazione nella fase androgina, e la richiesta di imporre a tutta la società di riconoscere come questa sia “normale” e completa. Le società primitive aiutano i maschi a disidentificarsi dalla madre e ad entrare nella mascolinità attraverso i riti di iniziazione dove il ragazzo deve mostrare il suo valore. La nostra società al contrario non aiuta questa fase, spesso quando il padre è indifferente o assente, non significativo come modello, e trascura il bambino che riceve una ferita narcisistica e sta male.
Le femmine hanno meno problemi perché devono arricchire l’identificazione con la madre e non perderla. Per questo c’è più omosessualità maschile che lesbismo (in USA la proporzione è di 1 sola lesbica ogni 5 omosessuali maschi).
Conseguenze del distacco difensivo: il bambino “ferito” sviluppa una doppia via: si sente attratto dagli uomini (cerca il “padre”) ma allo stesso tempo ne ha paura, timore, anticipando quel senso di rifiuto o di distanza che ha già sperimentato. I pazienti omosessuali sono spesso pieni di vergogna e ansiosi, mai a loro agio con l’analista proprio per il loro problema di mancata identificazione, a differenza dei pazienti eterosessuali, che anche se con problemi sono più rilassati.
Vorrei approfondire l’importanza del padre specialmente riguardo ai due attributi di benevolenza e forza: il bambino ha bisogno di un padre che possegga entrambe le qualità per disidentificarsi dalla madre, non basta la bontà ma anche la forza, l’autorevolezza accogliente che lascia il segno nel bambino. Oggi in particolare sembra mancare soprattutto la forza (che non è machismo) nella figura maschile. Un esempio concreto: un mio paziente alla domanda “com’era suo padre?” rispose “Lo adoravo, lo consideravo un santo, era buono, scherzava, faceva il pagliaccio, ma quando mia madre lo mandava in un angolino lui stava là e mi sono fatta l’idea che l’uomo è un essere debole”. Quel paziente non volle identificarsi con il padre. Dai dati costruiti su più di 1000 casi possiamo tracciare una “tipica famiglia pre-omosessuale”, la cosiddetta “classica triade relazionale”

M<--------------->P

B--->F

M=Madre emozionalmente troppo dominante, con personalità forte
P=Padre tranquillo, estraneo, assente oppure ostile
B=bambino dal temperamento timido, introverso, sensibile artistico, con forte immaginazione.
F=fratello
Relazione:
M<-->P caratterizzata da scarsa comunicazione
M<-->B relazione “speciale” (io capisco bene la mia mamma)
P<-->B antagonistico, guardingo, a disagio.
B<-->F spesso rapporto schiacciato, antagonistico)
Posso dire di non avere mai visto un paziente omosessuale uscire da questo schema, non c’è mai quindi amore e rispetto per il padre. Se il ruolo del padre è molto importante, quello della madre è pure abbastanza importante nella genesi della omosessualità maschile sia nel suo ruolo svolto come moglie, che come madre, che nella sua auto percezione della femminilità. Una donna che si stima come donna, che come moglie ha stima del marito, accettazione dei suoi limiti, ne cerca il consiglio, attua un importante imprinting nei confronti della percezione primaria della mascolinità come fatto positivo nel figlio. La moglie che critica in continuazione il marito, lo schiaccia, lo allontana o “non lo vede” nello stesso modo ma in modo negativo influisce sulla percezione della mascolinità della prole. Se la madre si impegna a stimare il marito per esempio asseconda il bambino quando verso gli uno-tre anni vuole uscire dalla sua tutela e lo aiuta ad incontrare il padre. Un esempio: verso quella età in cui la maggiore mobilità del bambino attira il padre, lasciare che facciano giochi “da maschi” è di aiuto. Anche prestissimo, quando il bimbo è ad esempio preso in braccio e buttato in aria dal papà che lo riprende al volo, in quel momento in cui il padre ride ed il bimbo pur sperimentando una forte emozione ride pure lui fidandosi del papà il padre gli comunica una caratteristica tipicamente mascolina che cioè il pericolo può essere divertente (la madre di solito assiste terrorizzata a questo tipo di gioco!). Vi è inoltre una fisicità diversa nel tocco del papà rispetto all’abbraccio della mamma che è molto importante che il bambino sperimenti. In caso di mancato “aggancio” con la mascolinità rappresentata dal padre vi è una distorsione della percezione dell’essere maschio, sintetizzabile nell’espressione: il padre come mistero. Il bimbo,/ragazzo/uomo dice “conosco benissimo” mia madre, quello che passa per la sua testa, invece mio padre è un mistero, non so come la pensa, non lo conosco sul serio.
Dai 5 ai 12 anni, (fase di latenza) spesso si sviluppa un tipico comportamento del bambino preomosessuale: anche se non è detto in modo matematico che poi lo sviluppi in senso sicuramente omosessuale, il disturbo di identità di genere nell’infanzia è altamente predittivo (75%) di omosessualità, bisessualità o transessualismo nell’età adulta. Questo comportamento è caratterizzato da scarse relazioni con i coetanei dello stesso sesso, spesso si tratta di un bambino che “resta a guardare dalla finestra”, cioè dal di fuori, in qualche modo segregato in un ambito “femminile”, escluso, il gioco dei coetanei maschi, che, come il padre, sono percepiti come “mistero”. Il distacco difensivo (con l’anticipazione del rifiuto legato anche alla confusa percezione di inadeguatezza fisica, incapacità relazionale, emotiva) inizialmente messo in atto nei confronti del padre viene trasferito anche coi coetanei. Dalla fisicità del contatto maschile vi è un distacco che si attua attraverso un non essere sportivo, preferire i giochi delle bambine, avere quindi atteggiamenti da “femminuccia”, il bimbo vorrebbe imitare i maschi ma si sente debole, inadeguato, incapace, e inizia perciò ad ammirarli dall’esterno, con un inizio di attrazione omosessuale. Nessuno in genere a questo punto avvisa i genitori perché cerchino un aiuto, per evitare che il bambino sviluppi un falso sé da cui sarà difficile liberarsi più tardi.
Di questo percorso ho scritto in dettaglio con mia moglie nel 2002 un libro ricco di documentazione e di esempi concreti che ha avuto un’accoglienza piena di interesse negli USA e che sarà disponibile nella traduzione italiano in autunno (Linda e Joseph Nicolosi “Omosessualità: una guida per genitori”, edizioni Sugarco, attualmente disponibile nelle librerie).
Il “falso sé del bravo bambino” è caratterizzato da:
- Finzione (o “azione teatrale”): il bambino frustrato nella relazione spontanea e gioiosa con il padre abbandona le espressioni genuine della sua mascolinità e sviluppa un sé costruito con la fantasia e “recitato”: recita la parte del bravo bambino. E a proposito di “recite” vorrei riportarvi un episodio raccontatomi da un paziente: da bambino a scuola gli affidarono in una recita scolastica la parte del “padre”: tornato a casa si sentì redarguire dalla madre che gli disse:”torna a scuola e fatti dare la parte di qualcuno che parla”. Perfetta sintesi che esemplifica la triade familiare di cui parlavamo sopra a proposito dell’imprinting verso la mascolinità fornito dalla famiglia!
- Alienazione dal corpo: eccessivo pudore nella fanciullezza, spesso contrapposto a esibizionismo nell’età adulta. Un esempio: ricorda un paziente come, non sentendo di “possedere” il corpo maschile, da bambino non si vergognava di fare il bagno in presenza della mamma e della zia, eppure si coprì pieno di vergogna quando arrivò uno zio chiamato dalla zia per sistemare un problema idraulico della vasca. Da adulto vi è una reazione verso questo eccesso di pudore che si manifesta attraverso la ricerca di corpi virili a compenso di questo “corpo mancante”.
L’impatto dell’abuso/contatto sessuale uomo-bambino rispetto all’esito dell’omosessualità: nella mia esperienza 1/3 dei pazienti con pulsioni omosessuali ha subito abusi da parte di adulti o ragazzi più grandi. Particolarmente nefasto rispetto agli esiti è l’effetto del mix vergogna per ciò che viene percepito come “anomalo”, senso di trasgressione/richiesta di segretezza/l’eccitazione o il piacere eventualmente provato e la sensazione di “appagamento affettivo” sperimentato grazie al fatto che spesso chi ha compiuto il gesto sessuale ha circuito il bambino-ragazzo facendolo oggetto di attenzioni, regalini ecc che incontrano un vuoto/fame psicologici di mascolinità reali.
Chi ha subito un abuso tende a perpetrarlo a sua volta, anche come meccanismo difensivo rispetto al senso di colpa che ne consegue. E’ significativo come gli attivisti gay in USA cercano di fare pressione per fare abbassare l’età dei cosiddetti “diritti sessuali” per evitare l’accusa di abuso se non addirittura di pedofilia.

CONTINUA............
http://www.tradizione.biz/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=77

BENIGNI HA TOPPATO! OSCAR WILDE AVREBBE DATO RAGIONE A POVIA!


Ma Oscar Wilde avrebbe dato ragione a Povia
Promuovere la libertà di scelta.
Comunicato stampa del Gruppo Lot di Luca Di Tolve

di Tempi

Ogni essere umano ha diritto di vivere e di rivendicare un'identità gay, oppure ha diritto, se vuole, di sviluppare il proprio potenziale eterosessuale. La vera violenza è impedire la libertà di scelta perché gli orientamenti sessuali possono essere cambiati. La stessa Organizzazione mondiale della sanità, se è vero che considera l'omosessualità una variante naturale dell'orientamento sessuale, è anche vero che considera un diritto cambiare il proprio orientamento sessuale quando esso è egodistonico, ovvero non desiderato.

L'OMS reputa indispensabile il rispetto della libertà e dell'autodeterminazione della persona in merito al proprio orientamento sessuale. (OMS, ICD-10 n. F66 1)

La stessa polemica del movimento gay contro la canzone di Povia (che parla del percorso di crescita di un giovane oltre l'omosessualità) dimostra come venga aggredito l'inalienabile diritto di scegliere e cambiare il proprio orientamento sessuale. Sembra che il movimento gay abbia addirittura preteso la riparazione preventiva del "sacrilegio" compiuto da Povia con la lettura, da parte di Roberto Benigni, di una corrispondenza sulla passione omosessuale fra Oscar Wilde e un suo amico. Per chi conosce la storia di Oscar Wilde e di sua madre questo è un vero boomerang che si ritorce contro l'ideologia di tanti movimenti gay che pretendono di costruire il DOGMA dell'immutabilità degli orientamenti sessuali finendo per ledere il fondamentale diritto alla libertà di scelta in merito agli orientamenti sessuali. Infatti, proprio la storia di Wilde dimostra che gli orientamenti sessuali non riguardano l'essenza biologica e immutabile di una persona ma sono varianti dell'apprendimento durante le fasi di formazione psicologica dell'identità.

LA VITA DI OSCAR WiLDE, AL CONTRARIO DELLE INTENZIONI, DA' PIENAMENTE RAGIONE PROPRIO AL MESSAGGIO CONTENUTO NELLA CANZONE DI POVIA.
La vita di Oscar sin dall'infanzia fu oppressa e segnata dai capricci di una madre intrusiva e dominante e dalla assenza della figura paterna, fra l'altro priva di ogni carisma.
La madre copriva il piccolo e sensibile Oscar di un amore ossessivo, sopravvalutandolo in ogni occasione e amava sempre vestirlo con abiti femminili.
Inutile chiedersi quale influenza ebbero il viscerale e ossessivo amore materno e le strane tendenze di "Speranza" verso questo bimbo che lei orientava verso la femminilità e verso l'identificazione con se stessa.

Ed ecco il video del Luca di cui parla Povia:
http://www.tempi.it/il-caso/005031-luca-era-gay

Su questa STORIA VERA è scattata la censura preventiva ed oscurantista delle organizzazioni gay. Una storia così in Italia non si può, non si deve raccontare. Va bene la Tatangelo che ci canta del suo amico gay e delle sue sofferenze. Non va bene un Povia che osa raccontare la storia del suo amico Luca che da gay diventa eterosessuale. La violenza non l'ha fatta Povia...ma l'hanno fatta a Povia!

giovedì 19 febbraio 2009

Possiamo convertire il mondo solo con la Croce

UN SACERDOTE RISPONDE:
http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1103

In confessionale ho sentito cose che mi hanno lasciata allibita. Le chiedo un parere...

Gentile Padre Angelo,
tempo fa sono andata a confessarmi da un sacerdote della città in cui studio e non dal mio sacerdote di fiducia ed...ecco il punto dolente: io ho detto al sacerdote che offrivo le mie fatiche quotidiane e anche le mie sofferenze per la conversione dei peccatori e per il bene della Chiesa e costui mi ha detto che non crede a questa pratica e che la considera appunto una pia pratica devozionale e anche un po' pietistica. Mi ha detto inoltre che il male non ha mai senso e quindi non ha senso offrirlo. Io sono rimasta un po' allibita, soprattutto pensando a tanti santi che, trovandosi in atroci sofferenze, offrivano il loro dolore al Signore proprio per la conversione dei peccatori e per il bene della Chiesa oppure a santi che hanno considerato addirittura un dono la Croce... Ho pensato inoltre alla "Salvifici doloris" di Giovanni Paolo II in cui si sottolinea, come dice il titolo stesso, il valore salvifico della sofferenza!!! Possibile che abbia trovato un sacerdote completamente eretico?
La ringrazio per l'attenzione e le esprimo i miei più vivi complimenti per la serietà e la perizia con cui risponde alle domande di noi visitatori. Che Iddio la benedica!!
Titti


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Risposta del sacerdote

Cara Titti,
mi spiace molto che tu ti sia imbattuta in un prete che ti ha detto simili cose, ma, purtroppo, non mi meraviglio.
Penso in questo momento a santa Edith Stein, patrona dell’Europa e morta in una camera a gas durante la seconda guerra mondiale.
Prima di entrare al Carmelo era docente di filosofia ed era ricercata in tutta la Germania per le sue conferenze.
Al momento dell’ingresso in clausura, la Madre Priora si sentì in dovere di dirle che facendosi monaca non avrebbe più potuto girare il mondo per le sue lezioni o conferenze. Edith Stein rispose: “Solo la croce di Cristo salva il mondo, e io chiedo di entrare in Monastero per poter partecipare a questo mistero”.
Penso a quanto l’Eterno Padre disse a santa Caterina da Siena parlando dell’Ordine domenicano: “Sai in su che mensa san Domenico fà mangiare i figli suoi col lume della scienza?
Li fa mangiare in su la mensa della croce, dove si mangiano anime per amore di me”. Come a dire: non basta la scienza per convertire il mondo. Bisogna essere associati alla passione del Signore e fare della nostra vita, soprattutto delle nostre fatiche, un dono, per partecipare al mistero della redenzione.
Su questa linea troviamo anche San Pio da Pietralcina, il quale diceva che “le anime non vengono regalate a nessuno, ma si comprano tutte con la medesima moneta con la quale ha cominciato a comperarle Nostro Signore” (e cioè con la croce).
In fondo, san Paolo quando ai Corinti scrive: “Anch'io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1 Cor 2,1-2) dice la stessa cosa.
Come tu stessa osservi, Giovanni Paolo II ha scritto l’enciclica Salvifici doloris proprio per mostrare il valore salvifico della sofferenza.
Proprio perché conosceva il valore salvifico della sofferenza Tertulliano (II secolo) poté affermare che “il sangue dei martiri è la semente dei cristiani” (sanguis martyrum, semen christianorum). In questo la Chiesa ci ha sempre creduto.
Pio XII nell’enciclica Mystici Corporis ha scritto: “Mistero certamente tremendo né mai sufficientemente meditato, come cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni a questo scopo intraprese dalle membra del mistico corpo di Gesù Cristo” (MC 42).
Carissima Titti, continuiamo per la strada tracciataci da Cristo, indicata dall’Apostolo san Paolo, dalla testimonianza luminosa dei santi e soprattutto dei martiri.
Preghiamo anche per i sacerdoti e confessori.
Ti prometto un ricordo al Signore, ti saluto e ti benedico.
Padre Angelo

martedì 17 febbraio 2009

PADRE PIO: DISPREZZATELO E RIDETE ALTAMENTE DI LUI

«DISPREZZATELO E RIDETE ALTAMENTE DI LUI»

Nella lotta quotidiana con Satana, Padre Pio affina le sue conoscenze delle forze del male e delle strategie che queste mettono in atto. Diventa perciò un consigliere prezioso, un direttore spirituale accorto. Le sue direttive e le sue raccomandazioni sono piene di saggezza e di prudenza. A chi si affida a lui, raccomanda di stare all’erta, di mantenere la calma, di non avere paura, di ridere del nemico, di disprezzarlo e tenere sempre presente che Gesù è vicino, non abbandona mai i suoi fratelli e lotta con loro e per loro.
«Il nemico, non bisogna illudersi, è fortissimo e non si vuole arrendere. L’anima ne comprende, alla luce che Iddio in lei infonde, tutto il pericolo che corre, se non sta sempre all’erta.» A padre Agostino.

«In una lettera ricevuta dall’Annita, mi diceva che tra le fante insinuazioni di quell’impuro apostata, si sentì gridare nell’orecchio, mentre leggeva una delle mie lettere, queste precise parole: “Non credere a quel mentitore”. Quella bestiaccia è arciconvinta che non può guadagnare quest’anima, ma vorrebbe, se le fosse possibile, ispirarle avversione a chi è destinato a dirigerla e così impedirle una maggiore perfezione. La sa lunga, ma l’anima di Dio la sa più lunga di lui.» A padre Paolino da Casacalenda.

«Teniamo per certo che se il nostro spirito è turbato, più frequenti e più diretti sono gli assalti del demonio, il quale suole approfittare di questa nostra naturale debolezza per riuscire nei suoi intenti. Stiamo bene all’erta su questo punto di non piccola importanza per noi: appena ci accorgiamo di cadere nello scoraggiamento, ravviviamo la nostra fede e abbandoniamoci nelle braccia del divin Padre.» A padre Basilio da Mirabello Sannitico.

«Voi intanto non dovete in nessun modo temere che il Signore vi lascerà in balia di Satana. Egli è fedele e non permette mai che la tentazione sia superiore alle vostre forze. Egli dà al vostro nemico tanta facoltà di molestarvi quanto serve ai suoi paterni disegni per la santificazione dell’anima vostra e per quello che sarà di maggior gloria di sua divina maestà.» A Raffaelina Cerase.

«Il nemico nostro, congiurato ai nostri danni, vuole persuadervi di tutto il contrario. Ma disprezzatelo, nel nome di Gesù, e ridete altamente di lui. Questo è il miglior rimedio per fargli battere la ritirata. Egli si fa forte con i deboli, ma con chi l’affronta con l’arma in pugno diventa un vigliacco.» A Raffaelina Cerase.

«Troppo bene ha capito la bestia immonda di non potere niente contro per farvi prevaricare. E perciò vuole sfogare il suo odio con i suoi terrori. La guerra, mia cara, contro di voi è aperta e bisogna stare vigilante in ogni ora, opporgli una forte resistenza avendo sempre l’occhio della fede rivolto al Dio degli eserciti, che combatte con voi e per voi.» A Raffaelina Cerase.

«Perché temete tanto, mia buona sorella, il vostro nemico? Non sapete che il buon Gesù è con voi sempre e che nulla può l’avversario delle anime contro chi ha risoluto di essere tutta di Dio? E un tranello di Satana per farvi perdere coraggio e arrestarvi, se fosse possibile, nelle vie dell’amore presentandovi la via della perfezione troppo ardua per voi.» A Raffaelina Cerase.

«Il furore di Satana dal quale voi vi sentite alcune volte tanto minacciata, non vi deve affatto recare meraviglia né spavento. Voi comprenderete che costui perseguita a morte le ànime che non vogliono dare ascolto alle sue pessime insinuazioni e il suo odio tanto più cresce quanto più vede svanire la speranza di possederle per farle sue. Voi intanto continuate a non dargli retta. Fortificatevi con la preghiera, con l’umiltà e con illimitata fiducia nel divino aiuto. Abbandonatevi, come figlia diletta del celeste Padre, tra le sue amorosissime braccia e non temete la guerra che vi viene mossa da Satana. Egli non può niente contro l’anima che pone tutta la sua fiducia in Dio.» Ad Annita Rodote.

«Ti rianimi a sostenere la guerra che Satana ti muove il dolce e confortante pensiero di riportare da questa prova il completo abbattimento del regno di Satana e una corona immarcescibile di eterno godimento nel regno di Dio. Non temere Satana perché non potrà nuocerti, perché tu ciò che farai lo farai tutto sotto l’influsso dell’obbedienza generale, come ti dissi a voce, ma disprezzalo e fuggilo.» A Minuccia.

«Voi sapete benissimo che il Demonio cerca sempre di travolgere le cose... Per il momento quel brutto cosaccio si con tenterebbe almeno di arrestarvi nella via della perfezione, ma non bisogna dargli questa soddisfazione.» A Raffaelina Cerase.

«Deponete ogni timore. Le azioni di Satana oramai sono distintissime in voi dalle azioni della grazia e voi ne potete oramai notare la differenza. Chi vi agita e vi tormenta è Satana. Chi vi illumina e vi consola è Dio.» A Raffaelina Cerase.

domenica 15 febbraio 2009

IL PAPA: RITORNARE ALLA CONFESSIONE PER GUARIRE DAL PECCATO

Le parole di Benedetto XVI all’Angelus: “Solo il Sacramento della Confessione e la Misericordia di Cristo ci possono guarire dalla lebbra del peccato evitando la morte dell’anima”

CITTA’ DEL VATICANO - "I peccati che commettiamo ci allontanano da Dio, e, se non vengono confessati umilmente confidando nella misericordia divina, giungono sino a produrre la morte dell'anima". Benedetto XVI ha voluto ricordarlo commentando all'Angelus la guarigione di un lebbroso al quale Gesu' aveva chiesto di non proclamarsi guarito prima di aver compiuto i riti della purificazione prescritti dall'ebraismo. Infatti, "la lebbra costituiva una sorta di morte religiosa e civile, e la sua guarigione una specie di risurrezione", ed in essa "e' possibile intravedere un simbolo del peccato, che e' la vera impurita' del cuore, capace di allontanarci da Dio". Per il Papa, "non e' in effetti la malattia fisica della lebbra, come prevedevano le vecchie norme, a separarci da Lui, ma la colpa, il male spirituale e morale". Il lebbroso del Vangelo, pero', "non riusci' a tacere ed anzi proclamo' a tutti cio' che gli era accaduto, cosi' che, riferisce l'evangelista, ancor piu' numerosi i malati accorrevano da Gesu' da ogni parte, sino a costringerlo a rimanere fuori delle citta' per non essere assediato dalla gente". "Questo miracolo - ha spiegato il Pontefice ai 40.000 fedeli presenti in Piazza San Pietro - riveste allora una forte valenza simbolica. Gesu', come aveva profetizzato Isaia, e' il Servo del Signore che 'si e' caricato delle nostre sofferenze, si e' addossato i nostri dolori'. Nella sua passione, diventera' come un lebbroso, reso impuro dai nostri peccati, separato da Dio: tutto questo fara' per amore, al fine di ottenerci la riconciliazione, il perdono e la salvezza". "Nel Sacramento della penitenza - e' stata quindi la conclusione di Benedetto XVI -, Cristo crocifisso e risorto, mediante i suoi ministri, ci purifica con la sua misericordia infinita, ci restituisce alla comunione con il Padre celeste e con i fratelli, ci fa dono del suo amore, della sua gioia e della sua pace: invochiamo la Vergine Maria, che Dio ha preservato da ogni macchia di peccato, affinche' ci aiuti ad evitare il peccato e a fare frequente ricorso al Sacramento della Confessione, il Sacramento del perdono, che oggi va riscoperto ancor piu' nel suo valore e nella sua importanza per la nostra vita cristiana". Al termine dell’Angelus, il Papa si e' poi rivolto ai fedeli polacchi sottolinenado la valenza sociale del Vangelo di questa ultima Domenica che, ha detto, "ci mostra Gesu' che, guarendo un lebbroso, si china sulla miseria, sulla malattia e sulla sofferenza umana. Lo fa amorevolmente, discretamente e gratuitamente. Incontrando la miseria umana, imitiamo Gesu', portando al prossimo un aiuto concreto, una parola di conforto e un gesto di consolazione". Tra i pellegrini di lingua italiana, infine, Benedetto XVI ha salutato i partecipanti al terzo laboratorio nazionale sul tema "Giovani e cultura: il lavoro", organizzato dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Cei nell'ambito del triennio dell'Agora' dei Giovani, il progetto che ha avuto avvio con il grande raduno del settembre 2007 a Loreto, dove per incontrare il Papa si raccolsero oltre 500.000 ragazzi.

venerdì 13 febbraio 2009

NAPOLITANO, RIPRENDITI LA MEDAGLIA!

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Missionario in Paraguay restituisce l'onorificenza a Napolitano
Don Aldo Trento, responsabile di una clinica per malati terminali


ROMA, giovedì, 12 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Don Aldo Trento è dal 1989 uno dei più noti missionari della Fraternità San Carlo Borromeo in Paraguay. Ha sessantadue anni ed è responsabile di una clinica per malati terminali di Asunción.
Il 2 giugno scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli aveva conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà. Mercoledì, don Aldo ha restituito l’onorificenza a Napolitano a causa della mancata firma del decreto che avrebbe arrestato il protocollo medico per Eluana Englaro.
“Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore quando Lei, con il suo intervento, permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica italiana?”, si è chiesto.
“Ho più di un caso come Eluana Englaro”, racconta Aldo Trento al “Foglio”. “Penso al piccolo Victor, un bambino in coma, che stringe i pugni, l’unica cosa che facciamo è dargli da mangiare con la sonda. Di fronte a queste situazioni come posso reagire al caso Eluana?”.
“Ieri mi portano una ragazza nuda, una prostituta, in coma, scaricata davanti a un ospedale, si chiama Patrizia, ha diciannove anni, l’abbiamo lavata e pulita. E ieri ha iniziato a muovere gli occhi”, afferma.
“Celeste ha undici anni, soffre di una leucemia gravissima, non era mai stata curata, me l’hanno portata soltanto per seppellirla. Oggi Celeste cammina. E sorride”.
“Ho portato al cimitero più di seicento di questi malati. Come si può accettare una simile operazione come quella su Eluana?”.
“Cristina è una bambina abbandonata in una discarica, è cieca, sorda, trema quando la bacio, vive con una sondina come Eluana. Non reagisce, trema e basta, ma pian piano recupera le facoltà”, prosegue.
“Sono padrino di decine di questi malati. Non mi interessa la loro pelle putrefatta. Vedesse i miei medici con quale umiltà li curano”.
Don Aldo Trento dice di provare un “dolore immenso” per la storia di Eluana Englaro: “E’ come se mi dicessero: ‘Ora ti prendiamo i tuoi figli malati’”.
Per il missionario, “l’uomo non si può ridurre a questione chimica”.
“Come può il presidente della Repubblica offrirmi una stella alla solidarietà nel mondo?” Così ho preso la stella e l’ho portata all’ambasciata italiana del Paraguay”.
“Qui il razionalismo crolla lasciando spazio al nichilismo – commenta – . Ci dicono che una donna ancora in vita sarebbe praticamente già morta. Ma allora è assurdo anche il cimitero e il culto dell’immortalità che anima la nostra civiltà”.

giovedì 12 febbraio 2009

LA TENTAZIONE

La tentazione è la forma più comune di cui si serve il demonio per esercitare la sua nefasta azione sul mondo. Nessuno ne va esente, neppure i più grandi santi. L’anima sperimenta i suoi assalti in tutte le tappe della vita spirituale. Variano le forme, aumenta o diminuisce l’intensità, ma la realtà della tentazione rimane. Anche Gesù volle essere tentato per insegnarci come vincere il nemico delle nostre anime. E’ compito specifico del demonio quello di tentare, ma non tutte le tentazioni che assalgono l’uomo vengono dal demonio.Alcune traggono origine dalla propria concupiscenza, come dice l’apostolo San Giacomo "Ognuno è tentato dalle proprie concupiscenze, che lo attraggono e lo seducono" (Giac. 1, 14).E’ fuor di dubbio, tuttavia, che molte tentazioni sono suscitate dal demonio, che invidia l’uomo e detesta Dio. Lo attesta espressamente la divina rivelazione: "Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere agli agguati del diavolo. Poiché non abbiamo noi da lottare contro la carne e il sangue ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti maligni sparsi nell’aria" (Ef. 6,11-12)E San Pietro paragona il demonio ad un leone ruggente che gira attorno cercando di divorarci (I Pietr. 5,8).Non c’è una norma fissa o un segno chiaro che ci permetta di riconoscere quando una tentazione proviene dal demonio o da un’altra causa. Tuttavia, quando essa è repentina, violenta e tenace, quando non esiste nessuna causa prossima o remota capace di suscitarla, quando turba profondamente l’anima e suggerisce il desiderio di cose straordinarie ed appariscenti, la si può ritenere come un intervento più o meno diretto del demonio.Quando sentiamo insorgere in noi improvvisi sentimenti cattivi (rancori, risentimenti, invidie, moti sensuali, forti tendenze ad accentuare il nostro io) possiamo pensare che, oltre alla concupiscenza che è in noi, essi siano dovuti anche all’intervento del maligno, soprattutto quando sono improvvisi.Il diavolo, molto più intelligente di noi, conosce bene qual è il nostro lato debole e su di esso innesta la sua azione malefica.A coloro che non vivono una vita spirituale regolare ed intensa, il demonio prospetta il male direttamente, perché sa che con costoro basta poco per farli cadere. Con coloro, invece, che sono più diligenti nel coltivare la vita interiore, egli cerca di circuire. Capisce, infatti, che, qualora proponesse il male apertamente, essi reagirebbero, e allora cerca di farli desistere dalle opere buone. Così, ad esempio, nelle anime impegnate nella preghiera attiva e perseverante cercherà di inculcare disgusto per la preghiera stessa, in modo che esse siano stimolate ad abbandonarla e così ad indebolirsi progressivamente nello spirito. A chi non riesce a superare i propri difetti il demonio procurerà di suggerire sentimenti di scoraggiamento, di demoralizzazione. Cercherà di convincerlo che è inutile insistere e che è tempo perso dedicarsi alla preghiera, alla frequenza ai Sacramenti, alle pratiche ascetiche.Maria SS.ma così dice a Consuelo: "…...Il Signore odia il male, ma lo permette perché, in giustizia, deve lasciare che l’uomo scelga il proprio destino.Il Signore scopre all’angelo custode alcune delle attitudini, dei difetti e delle inclinazioni che nel corso della vita avrà la creatura che si trova ancora nel seno materno affinché, conoscendolo, l’angelo possa prestare un servizio migliore al proprio protetto. Ma, come l’angelo conosce le inclinazioni della creatura, anche gli spiriti maligni le conoscono perché ne studiano molto attentamente il carattere o il modo di essere che renderà la creatura più propensa e vulnerabile ad alcuni vizi piuttosto che ad altri".Dio consente che siamo provati dai nostri nemici spirituali per offrirci l’occasione di maggiori meriti. Egli non permetterà mai che siamo tentati sopra le nostre forze "Dio è fedele, e non permetterà che siate tentati oltre il vostro potere, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di sostenerla" (1 Cor. 10,13).Sono innumerevoli i vantaggi della tentazione superata con l’aiuto di Dio. Umilia satana, fa risplendere la gloria di Dio, purifica la nostra anima, ci riempie d’umiltà, pentimento e fiducia nell’aiuto divino; ci obbliga a star sempre vigili, a diffidare di noi stessi, sperando tutto da Dio, a mortificare i nostri gusti e capricci; stimola alla preghiera, aumenta la nostra esperienza e ci rende più circospetti e cauti nella lotta. A ragione afferma San Giacomo che è "beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta provato, riceverà la corona della vita che Dio ha promesso a coloro che lo amano" (Giac. 1,12)


Psicologia della tentazione
Forse in nessun’altra pagina ispirata appare con tanta evidenza la strategia usata dal demonio come nel racconto della tentazione della prima donna, che cagionò la rovina di tutta l’umanità. L’esame della narrazione biblica è ricca d’insegnamenti.

Si avvicina il tentatore:Non sempre lo abbiamo al nostro fianco. Alcuni Padri e teologi hanno ritenuto che accanto all’angelo custode, deputato da Dio per provvedere al nostro bene ci sia un demonio, designato da satana per tentarci e spingerci al male. Tale supposizione non trova però riscontro nelle pagine della Scrittura. E’ più probabile che la presenza del demonio non sia continua ma circoscritta ai momenti della tentazione. Nel Vangelo si legge che il demonio, dopo aver tentato il Signore nel deserto, si ritirò da lui per qualche tempo. Però, benché a volte se ne allontani, rimane il fatto che il demonio spesso ci tenta. A volte si presenta improvviso allo scopo di sorprendere; più sovente si insinua cauto e, piuttosto che proporre subito l’oggetto della tentazione, preferisce avviare un colloquio con l’anima.

Prima insinuazione: "Perché Dio vi ha comandato di non mangiare del frutto di tutti gli alberi del Paradiso?"Il demonio non tenta ancora, però fa scivolare la conversazione sul terreno a lui più propizio. La sua tattica rimane la stessa oggi come sempre. A persone particolarmente proclive alla sensualità o ai dubbi contro la fede proporrà in termini generici, senza istigarle ancora al male, il problema della religione o della purezza. "E’ vero che Dio esige il consenso cieco della vostra intelligenza o l’illimitata immolazione dei vostri appetiti naturali?"

La risposta dell’anima:Se l’anima, quando avverte che il semplice fatto che il problema sia posto rappresenta un pericolo, rifiuta di iniziare il dialogo con il tentatore, deviando, per esempio, il pensiero e la sua immaginazione ad altri argomenti, la tentazione viene soffocata nella sua stessa preparazione e la vittoria è tanto facile quanto manifesta e il tentatore si ritira umiliato. Ma se l’anima imprudentemente accetta il dialogo si espone ad un grave pericolo." E la donna al serpente: I frutti degli alberi del giardino possiamo mangiarli; ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino, Dio disse di non mangiarne e di non toccarlo, per non averne a morire"L’anima si rende conto che Dio le proibisce di compiere quell’azione, d’intrattenersi su quel dubbio, di fomentare quel pensiero o di alimentare quel desiderio. Non vuole disobbedire a Dio, però sta perdendo tempo ricordando che non deve fare questo.

Proposta diretta del peccato:L’anima ha ceduto terreno al nemico, che si fa più audace e tenta apertamente l’assalto: "E il serpente alla donna: No, che non morirete, Anzi Dio sa che quando ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diverreste come lui, conoscendo il bene e il male"Il demonio riesce a persuadere l’anima che dietro il peccato si occulta la felicità. Non le suggerisce il pensiero che "sarà come Dio" (una simile utopia ha potuto farlo credere soltanto una volta) però le dice che sarà felice se si abbandonerà in quella circostanza al peccato, tanto "Dio è infinitamente misericordioso e ti perdonerà facilmente e sarà cosa facile uscire dal peccato con un immediato pentimento"Se l’anima accondiscende a queste insinuazioni, è perduta. E’ ancora in tempo per retrocedere – la volontà non ha dato ancora il suo consenso – ma il pericolo si è fatto gravissimo. Le sue forze vanno indebolendosi, le grazie di Dio sono meno intense e il peccato le appare sempre più suggestivo.

L’esitazione"Allora la donna osservò che il frutto dell’albero era buono a mangiare e piacevole a vedere e appetibile per acquistare conoscenza…."L’anima comincia a vacillare e a turbarsi intimamente. Il cuore batte con violenza nel petto. Uno strano nervosismo s’impossessa di tutto il suo essere. Non vorrebbe offendere Dio, ma d’altra parte, è tanto seducente la visione che le si para davanti! Ha inizio una lotta troppo violenta perché possa durare a lungo. Se l’anima, in un supremo sforzo e sotto l’azione di una grazia efficace, della quale si è resa indegna per la sua imprudenza, si decide a rimanere fedele al suo dovere, ne uscirà sostanzialmente vincitrice, ma con un peccato veniale sulla coscienza (negligenza, semiconsenso, esitazione davanti al male). Il più delle volte compirà il passo fatale verso il peccato.

Il consenso della volontà"Perciò ne colse un frutto e ne mangiò, e ne diede anche a suo marito insieme con lei, ed egli pure ne mangiò".L’anima ha ceduto alla tentazione, ha commesso il peccato, e molte volte, a motivo dello scandalo e della complicità, lo fa commettere anche agli altri.

La disillusione"Subito si apersero gli occhi ad ambedue e si avvidero di essere nudi onde intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture".Nella sua realtà, il peccato quanto differisce dalla rappresentazione che ne aveva fatto la suggestione diabolica! Dopo averlo consumato, l’anima sperimenta d’improvviso una grande delusione e prova un immane sconforto.L’anima si rende conto d’aver perso tutto. E’ rimasta completamente nuda davanti a Dio: senza la grazia santificante, senza le virtù infuse, senza i doni dello Spirito Santo, senza l’amorosa inabitazione della SS.ma Trinità senza i meriti acquistati in tanti anni di penosi sacrifici. La sua vita soprannaturale è crollata di schianto. In mezzo ad un cumulo di rovine rimane solo la delusione ed il sogghigno sarcastico del tentatore.

La vergogna e il rimorso Inesorabile si fa sentire la voce della coscienza, che rimprovera il peccato commesso:"Udirono il suono del Signore Iddio che trascorreva per il giardino alla brezza giornaliera; e si nascose, Adamo con la sua compagna, dalla vista del Signore Iddio tra gli alberi del giardino. Ma il Signore Iddio chiamò Adamo dicendogli. Dove sei?"La stessa domanda pone la coscienza al peccatore che invano cerca una risposta. Non gli rimane che cadere in ginocchio e domandare perdono a Dio per l’infedeltà commessa, imparando dalla dolorosa esperienza a resistere al tentatore sin dal primo momento per l’avvenire


Condotta pratica davanti alla tentazione
E’ opportuno precisare meglio la condotta dell’anima prima, durante e dopo la tentazione in quanto riuscirà di grande utilità nella lotta contro il nemico.

Prima della tentazione
La migliore strategia per prevenire le tentazioni fu suggerita da Gesù stesso ai discepoli nel Getsemani: "Vigilate e pregate per non entrare in tentazione" (Mat. 26,41): vigilanza e preghiera.

La vigilanza: Il demonio non rinuncia mai al possesso della nostra anima. Se a volte sembra che ci lasci in pace, è soltanto per ritornare all’assalto nel momento in cui meno ce l’aspettiamo. E’ necessario stare all’erta per non lasciarsi sorprendere.Questa vigilanza ci deve portare alla fuga di tutte le occasioni più o meno pericolose; al controllo di noi stessi, all’esame preventivo, alla frequente rinnovazione del proposito di non peccare mai, alla lotta contro l’ozio, ecc.

La preghiera: La vigilanza da sola non basta. Il controllo più stretto e gli sforzi più generosi risulterebbero vani se non ci soccorresse l’aiuto divino. La vittoria sulla tentazione richiede una grazia efficace e solo la preghiera può ottenercela. S. Alfonso de’ Liguori, trattando della necessità della grazia efficace, affermava che essa si può conseguire soltanto con la preghiera e ripeteva: "Chi prega si salva e chi non prega si danna". Ci si rende conto, allora, perché il Signore nel Padre Nostro ci abbia esortato a chiedere a Dio di "non indurci in tentazione". In questa orazione preventiva è opportuno invocare anche l’aiuto di Maria, che mai conobbe il peccato, e del nostro Angelo Custode, che ha la missione di difenderci dagli assalti del demonio.

Durante la tentazione
La nostra condotta durante la tentazione si può riassumere in una sola parola: resistere. Non basta mantenere un atteggiamento puramente passivo, ma è necessaria un’azione positiva che può essere diretta o indiretta.

La resistenza diretta ci porta ad affrontare la stessa tentazione e a superarla facendo il contrario di quanto ci suggerisce. Per esempio: ci fa parlare bene di una persona quando avremmo una gran voglia di criticarla; ci spinge a fare un’abbondante elemosina quando l’avarizia cerca di serrarci la mano; ci induce a prolungare la preghiera quando il nemico suggerisce di abbreviarla o di ometterla; ci dà il coraggio di manifestare in pubblico la nostra fede quando il rispetto umano vorrebbe renderci succubi, ecc. Questa resistenza diretta è sempre consigliabile, a meno che non si trattino di tentazioni contro la fede o la purezza.

La resistenza indiretta, più che ad affrontarla, ci induce a fuggire la tentazione, rivolgendo la nostra attenzione altrove. La si consiglia di preferenza nelle prove contro la fede e la castità nelle quali non è indicata la lotta diretta, dato il carattere pericoloso e sdrucciolevole della materia.In questi casi è meglio impegnare con serenità e calma le facoltà interne, soprattutto la memoria e l’immaginazione, con altri pensieri diversivi. Sono accorgimenti che danno risultati positivi ed eccellenti, soprattutto se si adottano fin dal primo apparire della tentazione.

A volte la tentazione perdura, nonostante i nostri sforzi, e il demonio torna alla carica con un’instancabile tenacia. Non ci si deve scoraggiare. Questa insistenza costituisce la migliore prova che l’anima non ha ceduto. Insista nel suo diniego una e mille volte se è necessario, con grande serenità e pace, evitando il nervosismo e il turbamento.Ogni assalto ricacciato costituisce un nuovo merito davanti a Dio e un nuovo irrobustimento per l’anima. E il demonio finirà per lasciarci in pace, soprattutto se non riesce neppure a turbare la pace del nostro spirito, che era forse l’unico obiettivo dei suoi reiterati assalti.Conviene sempre, specialmente quando abbiamo a che fare con tentazioni prolungate, manifestare quello che passa nella nostra anima al confessore.Il Signore suole compensare con nuovi vigorosi aiuti tale atto d’umiltà e semplicità, dal quale il demonio cerca di allontanarci. Dobbiamo avere il coraggio di manifestare ogni cosa senza circonlocuzioni, soprattutto quando ci sentiamo fortemente inclinati a tacere.Non dimentichiamo quello che insegnano i maestri della vita spirituale: una tentazione manifestata è già per metà superata.

Dopo la tentazione
Ci troviamo in uno di questi tre casi. O abbiamo vinto; o siamo stati vinti; o siamo nel dubbio.

Se abbiamo vinto non dimentichiamo che la vittoria è unicamente opera della grazia. Dobbiamo ringraziare il Signore con un atto semplice e breve, accompagnando il nostro ringraziamento con una nuova richiesta di aiuto per altre occasioni del genere.Potremmo compendiare il nostro atto in questa o in una equivalente invocazione: Grazie, o Signore; devo tutto a voi; continuate ad aiutarmi in tutte le occasioni pericolose ed abbiate pietà di me.

Se siamo caduti non dobbiamo scoraggiarci. Ricordando l’infinita misericordia di Dio, gettiamoci come il figliol prodigo tra le sue braccia paterne, chiediamogli sinceramente perdono e promettiamo con il suo aiuto di non offenderlo mai più.Se la caduta è stata grave, non possiamo limitarci ad un semplice atto di contrizione; accorriamo quanto prima al tribunale della penitenza e approfittiamo della nostra caduta per raddoppiare la vigilanza ed intensificare la preghiera.

Se siamo nel dubbio d’avere o meno acconsentito, non tormentiamoci con un esame minuzioso ed estenuante, perché un’imprudenza così grande provocherebbe un’altra volta la tentazione e aumenterebbe il pericolo.Lasciamo passare un certo tempo, e quando sarà tornata la calma, la coscienza ci dirà con sufficiente chiarezza se siamo caduti oppure no.In ogni caso conviene fare un atto di contrizione perfetta e manifestare al confessore, al momento opportuno, quello che ci è capitato, così come l’ha avvertito la nostra coscienza.

Nota:
Un’anima che fa la comunione quotidiana, potrebbe continuare a comunicarsi fino al giorno stabilito per la confessione nel dubbio di aver acconsentito ad una tentazione?Non si può dare una risposta assoluta, che valga per tutte le anime e per tutti i casi.Il confessore giudicherà di volta in volta e il penitente dovrà attenersi sempre con umiltà a quello che gli manifesterà il suo confessore o direttore spirituale senza discutere.

Bibliografia:
A.Royo Marin – Teologia della perfezione cristiana – Edizioni Paoline
Consuelo – Maria Trono della Sapienza – Edizioni Ancora
M. Calvagno – Il diario di Rosario Toscano

"…..Voi siete i miei figli, e non crediate che vi abbandoni. Siete liberi nelle vostre scelte, il mio è solo un invito ad un retto cammino.
Dio vi ama tanto, ma voi non Lo comprendete. Dio è onnipotente, Dio è clemente, Dio è misericordioso, ma non interviene sempre in questa terra, perché allora non sareste liberi, sareste condizionati e obbligati. Il suo desiderio è quello di avere delle anime che hanno liberamente scelto la retta via.
Io vengo soltanto per aiutarvi: sono la vostra Madre. Siate sempre attenti alle tentazioni, lottate il male nel nome di Dio, perché sia glorificato e proclamato vincitore del male………."
Belpasso, 18 luglio 1986


http://www.rocciadibelpasso.it/tentazione1.htm

mercoledì 11 febbraio 2009

OGGI, 11 FEBBRAIO, SI RICORDA LA MADONNA DI LOURDES


La grandezza della piccola Bernadette - Eco di Maria nr.158


Non ti farò felice in questo mondo, ma nell’altro! Questo si era sentita dire dalla "Signora vestita di bianco" che l’11 febbraio del 1858 le era apparsa nella grotta di Massabielle. Lei era una fanciulla di appena 14 anni, quasi analfabeta e povera in tutti i sensi, sia per le scarse risorse economiche di cui disponeva la famiglia, sia per la sua limitata capacità intellettuale, sia per una salute estremamente malferma che, con i suoi continui attacchi d’asma, non le permetteva di respirare. Come lavoro pascolava le pecore e l’unico suo passatempo era la corona del rosario che lei recitava quotidianamente trovando in essa conforto e compagnia. Eppure fu proprio a lei, una ragazza apparentemente "da scartare" secondo la mentalità mondana, che la Vergine Maria si presentò con quell’appellativo che la Chiesa aveva, appena quattro anni prima, proclamato come dogma: Io sono l’Immacolata Concezione, le disse durante una delle 18 apparizioni che Bernadette ebbe in quella grotta vicino Lourdes, il suo paese di nascita. Ancora una volta Dio aveva scelto nel mondo "ciò che è stolto per confondere i sapienti" (vd. 1Cor 23), capovolgendo tutti i criteri di valutazione e di grandezza umana. E’ uno stile che si è andato ripetendo nel tempo, compreso in quegli anni in cui il Figlio stesso di Dio scelse tra umili e ignoranti pescatori quegli Apostoli che avrebbero dovuto proseguire la sua missione sulla terra, dando vita alla prima Chiesa. "Grazie perché se ci fosse stata una giovane più insignificante di me non avreste scelto me..." scriveva la giovane nel suo Testamento, consapevole che Dio sceglieva tra i miseri e tra gli ultimi i suoi collaboratori "privilegiati".Bernadette Soubirous era l’opposto di una mistica; la sua, come si è detto, era un’intelligenza solo pratica e di scarsa memoria. Eppure non si contraddisse mai quando raccontava ciò che aveva visto e ascoltato "nella grotta dalla Signora vestita di bianco e con un nastro celeste annodato alla vita". Perché crederle? Proprio perché era coerente e soprattutto perché non cercava dei vantaggi per sé, né popolarità, né denaro! E poi come faveva a sapere, nella sua abissale ignoranza, quella misteriosa e profonda verità dell’Immacolata Conce-zione che la Chiesa aveva appena affermato? Fu proprio questo a convincere il suo parroco.Ma se per il mondo si scriveva una nuova pagina del libro della misericordia di Dio (il riconoscimento dell’autenticità delle apparizioni di Lourdes arrivò appena quattro anni dopo, nel 1862), per la veggente cominciò un cammino di sofferenza e persecuzione che l’accompagnò fino alla fine della sua vita. Non ti farò felice in questo mondo... Non scherzava la Signora. Bernadette fu presto vittima di sospetti, prese in giro, interrogatori, accuse di ogni tipo, persino dell’arresto. Non veniva creduta quasi da nessuno: possibile che la Madonna avvesse scelto proprio lei?, si diceva. La fanciulla non si contraddiceva mai, ma per proteggersi da tanto accanimento le fu consigliato di rinchiudersi nel Monastero di Nerves. "Sono venuta qui per nascondermi" affermò nel giorno della sua vestizione ed evitava con cura di cercare privilegi o favori solo perché Dio l’aveva scelta in modo del tutto diverso dalle altre.Non c’era pericolo. Non era quello che la Madonna aveva per lei previsto qui sulla terra... Anche in convento, infatti, Bernadette dovette subire una serie continua di umiliazioni e di ingiustizie, come lei stessa attesta nel suo Testamento: "Grazie per aver colmato di amarezza il cuore troppo tenero che mi avete dato. per i sarcasmi della Madre Superiora, la sua voce dura, le sue ingiustizie, le sue ironie e per le umiliazioni, grazie. Grazie di essere stato l’oggetto privilegiato dei rimproveri, per cui le Sorelle dicevano: Che fortuna non essere Bernadette!". Questo era lo stato d’animo con cui ella accoglieva il trattamento che le era toccato in sorte, compresa quell’amara affermazione che aveva sentito dire dalla superiora quando il vescovo stava per assegnarle un incarico: "Che cosa vuol dira a costei che è buona a nulla?". L’uomo di Dio, per niente intimorito rispose: "Figlia mia, poiché siete una buona a nulla vi dò l’incarico della preghiera!".Involontariamente egli le affidava la stessa missione che l’Immacolata le aveva già consegnato a Massabielle, quando attraverso di lei a tutti chiedeva: Conversione, penitenza, preghiera... Per tutta la sua vita la piccola veggente ubbidì a questa volontà, pregando nel nascondimento e sopportando tutto in unione alla passione di Cristo. Lo offriva, nella pace e nell’amore, per la conversione dei peccatori, secondo la volontà della Vergine. Una gioia profonda l’accompagnava tuttavia durante i lunghi nove anni che trascorse a letto, prima di morire alla giovane età di 35 anni, stretta nella morsa di un male che si aggravava sempre più. A chi la confortava rispondeva con lo stesso sorriso che la illuminava durante gli incontri con la Madonna: "Maria è così bella che quanti la vedono vorrebbero morire per rivederla". Quando il dolore fisico si faceva più insopportabile, ella sospirava: "No, non cerco sollievo, ma soltanto la forza e la pazienza". La sua breve esistenza trascorse dunque nell’umile accettazione di quella sofferenza, che serviva a riscattare tante anime bisognose di ritrovare libertà e salvezza. Una generosa risposta all’invito dell’Immacolata che le era apparsa e che le aveva parlato. E consapevole che la sua santità non sarebbe dipesa dall’aver avuto il privilegio di vedere la Madonna, Bernadette concludeva così il suo Testamento: "Grazie, mio Dio per quest’anima che mi avete dato, per il deserto dell’aridità interiore, per la vostra oscurità e per le vostre rivelazioni, per i vostri silenzi e i vostri lampi; per tutto, per Voi, assente o presente, grazie Gesù".


Stefania Consoli

martedì 10 febbraio 2009

SUORE DI MADRE TERESA: DISABILI, NON "VEGETALI", MA FONTE DI RICCHEZZA PER L'UMANITA'

Suore di Madre Teresa: disabili, non “vegetali”, ma fonte di “ricchezza” per l’umanità

di Nirmala CarvalhoLe Missionarie della Carità gestiscono un centro per bambini portatori di handicap fisici e mentali a Mumbai. I disabili non sono dei “vegetali”, ma persone con “esigenze speciali” e “fonte di benedizione per il mondo intero” che impone modelli basati sulla “produttività”.
Mumbai (AsiaNews) – Accudire oltre 100 bambini abbandonati o affetti da disabilità, ritardi mentali, handicap fisici; curare i malati di Aids; garantire una morte dignitosa ai moribondi, ripudiati dalla famiglia e senza un luogo in cui trovare rifugio. È la missione delle suore che gestiscono la Casa di Asha Daan a Mumbai, fondata nel 1976 dalla Beata Teresa di Calcutta e gestita dalle Missionarie della Carità. Le religiose hanno deciso di spendere la propria vita al servizio di persone in apparenza “diverse”, ma che meritano tutto “l’amore, il rispetto e la dignità” che si deve a una “vita umana”.
Alla vigilia della Giornata mondiale del malato, in programma l’11 febbraio, Sr M Infanta descrive una quotidianità che è caratterizzata non solo dal dolore e dalla sofferenza, ma anche e soprattutto dal rapporto di amore e di condivisione fra le suore e gli ospiti del centro: “Ad Asha Daan vi sono 100 bambini – racconta la superiora – fra maschi e femmine, 83 dei quali portatori di handicap fisici o mentali. La loro età varia dai 3 ai 15 anni, ma sembrano così piccoli. Alcuni hanno ritardi mentali del 90%, altri dei gravissimi handicap fisici, ma ognuno di loro è un tesoro, un dono e una benedizione”.
Sr M. Infanta sottolinea che “ogni vita umana merita di essere vissuta”, anche se non sembra rispondere ai criteri di utilità o “produttività” imposti dai modelli attuali: “Questi bambini – continua la suora – sono creati per amare ed essere amati. Sono una fonte unica di benedizione per noi, per la società e per il mondo intero”.
“I portatori di handicap fisici e mentali – ammonisce – non sono dei vegetali, ma bambini con esigenze speciali: rispondono ai gesti di affetto, al contatto fisico, individui unici che sono in grado di comunicare. Lo sappiamo noi, come lo sanno i volontari che lavorano al centro, anche se queste risposte vengono manifestate con piccoli segnali”.
“Noi Missionarie della Carità – confida la suora, da 40 anni nell’ordine fondato dalla Beata Teresa di Calcutta – riceviamo grazie in abbondanza per il servizio che prestiamo ai più bisognosi. Come diceva Madre Teresa – conclude – mostra la tenerezza attraverso il tuo volto, i tuoi occhi, il tuo sorriso e il calore del tuo saluto. Devi sempre mostrare un sorriso allegro. Non prestare solo una cura, ma offri al tempo stesso il tuo cuore”.