mercoledì 28 gennaio 2009

COME VIVERE L'EUCARISTIA


LA MESSA, SCUOLA DELL’ AMORE.

Imparare a offrirsi a Cristo.


Nella Messa c’è lo spettatore e c’è l’attore. Lo spettatore è colui che paga un biglietto, ma non soffre un dramma. La Chiesa alla Messa non vuole spettatori, vuole attori. Il Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Sacra Liturgia dice:
"La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede… Offrendo l’ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, i fedeli imparino a offrire se stessi e, di giorno in giorno, per mezzo di Cristo mediatore, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti" (n. 48).
La Chiesa non ci vuole a Messa come "muti spettatori" per il semplice motivo che l’Eucaristia non è uno spettacolo da vedere, è invece un dramma da vivere. Nella Messa noi siamo i personaggi in azione, protagonisti con Cristo, tutti, dal prete all’ultimo fedele.
Il fedele ha la sua parte, ma non la parte primaria: è Cristo che fa la parte primaria; il prete gli impresta i movimenti, la parola, si china sul pane come ha fatto lui nella cena, gli impresta i gesti, la voce per ripetere tutto quello che lui ha fatto, tutte le parole che ha detto.
La Chiesa – dice il Concilio – si preoccupa che il fedele avverta tutto questo, che sia corresponsabile col prete di quello che avviene sull’altare.
Perché si preoccupa? Ma perché se la Messa è solo spettacolo, se il fedele è solo spettatore e non attore, è quasi inutile che ci sia la Messa.
Cristo non ci ha dato la Messa come spettacolo, ce l’ha data per muovere la nostra vita verso di lui. Dunque non confinate il sacerdote dietro l’altare come un personaggio che agisce per conto suo. No, il prete non offre per conto suo e neppure per sola delegazione vostra, il prete è all’altare per offrire con voi e voi siete di là dell’altare non per delegare lui, ma per offrirvi con lui; voi siete parte viva del sacrificio Eucaristico!
La Chiesa vuole che a Messa il cristiano impari a offrire se stesso.
Ma… non basta Cristo che si offre per noi? Non basta il prete che ci rappresenta in certo modo davanti a Cristo e al Padre? No, dice il Concilio: tu cristiano devi anche offrire.
Che valore bisognerà dare a queste parole: il cristiano "impari a offrire se stesso?".
Anzitutto il cristiano ha da capire che non basta la presenza fisica per l’Eucaristia. Alla Chiesa non interessa, è troppo poco!
Ci vuole una presenza motivata e convinta: non posso essere a Messa per sentimentalismo religioso, per tradizione, per curiosità, per comodo, attratto da motivi insufficienti.
Il cristiano deve rendersi conto che è a Messa per offrirsi a Dio.
Offrirsi a Dio! E’ tremendo. Sono dunque a Messa per dare più che per prendere. La Messa non è un self-service dove prendo quello che mi aggrada; no, sono qui per dare.
Offrirsi a Dio mi sottolinea la dimensione "dinamica" della Messa.
Offrirsi a Dio vorrà dunque dire ascoltarlo; devo afferrare il messaggio di Dio su di me, devo almeno mettermi davanti a questo problema: "Signore, che cosa vuoi da me?" e coglierne la risposta. Devo dare tempo a lui di parlare e a me di recepire; se non ho fatto questo, che Messa è la mia? Che cosa ho offerto se neppure ho saputo che cosa lui voleva da me?
Offrirsi a Dio significherà essere come lui mi vuole, o almeno voler essere, o almeno desiderare di essere come lui mi vuole.
Offrirsi a Dio forse è spiegato dal testo conciliare stesso là ove dice: "E di giorno in giorno i cristiani siano perfezionati nell’unità con Dio e con i fratelli".
E’ bello questo "crescere nell’unità", con Dio prima di tutto, perché sono sempre sganciato da lui, e devo imparare a vivergli vicino, devo maturare alla preghiera, allo stare con lui; lui mi è vicino 24 ore su 24, io quanto tempo gli sono vicino in una giornata?
Crescere nell’unità coi fratelli, perché il mio egoismo mi pone sempre in rottura. Lo provo nell’intimo della famiglia, a casa, fuori casa, a scuola, sul lavoro, allo stadio, nel bar, al cinema. Sono sempre in rottura con qualcuno. La Messa mi è data per imparare a vivere con gli altri, ad ascoltare, ad aprirmi, a comprendere, a condividere. La Messa mi è data perché io entri negli interessi degli altri, in quelli dei poveri, perché apra gli occhi sui problemi di tutti. Mi è data per maturare nella bontà.
Perché il Concilio dice che devo imparare a offrirmi?
Perché è estremamente arduo e difficile l’offrirsi a Dio. Si tratta di sbaragliare l’egoismo umano. Non basta la dinamite a far saltare tutta una montagna; ce ne vogliono di cariche di dinamite!
Perciò ci vuole un lavoro paziente e graduale. La Chiesa non fa poesie. E’ questa la ragione per cui tutte le settimane ho bisogno della Messa. Ne avrei bisogno tutti i giorni, perché tutti i giorni sono da capo con il mio egoismo. Il lavoro non finisce mai.
Siamo come muratori che costruiscono una casa: un mattone dopo l’altro, se sono costante, la casa viene su, se butto la cazzuola e i mattoni e mi siedo sulle impalcature con le braccia incrociate, il lavoro si ferma. Costruiamo a mattoni, con infinita pazienza, non costruiamo a pezzi prefabbricati, con la velocità lampo.
Siamo come scalatori che han dato l’assalto alla grande parete: un movimento dopo l’altro, un palmo di parete dopo l’altro e lo scalatore sale, sale finché sembra solo più un ragno attaccato al filo della sua corda. E’ rischioso, soprattutto è un lavoro di grande resistenza e tenacia. Siamo scalatori che conquistano palmo per palmo la montagna dell’egoismo umano, non siamo sorvolatori con l’elicottero.
Forgiamo l’uomo nuovo, per questo abbiamo tanto bisogno della Messa; ogni Messa un mattone e il muro va su; ogni Messa un passo avanti e la scalata avanza. Sbaragliare l’egoismo umano è un’impresa più ardua che conquistare l’Everest.
Quando arriveremo alla punta? Credo che non dobbiamo neppure chiedercelo, perché la mèta precisa a cui puntiamo di arrivare è così ardua e alta che ci potrebbe scoraggiare. Il Concilio fissa la mèta in cinque parole che sono "croccanti": che Dio sia tutto in tutti.
Siamo veramente davanti all’Himalaya!
Ma Cristo sale con noi!
E’ lui il capo della cordata, è lui che ci tiene, lui che ci rafforza, lui che guida.
E’ per questo che ogni Messa deve terminare con la mia fusione in lui, con la comunione.
Scendere al concreto.
Se noi afferrassimo fino in fondo questo principio di vita che la Chiesa ci suggerisce per entrare davvero nella Messa, tutto cambierebbe in noi. Noi cominceremmo veramente a capire la potenza dirompente che può sprigionarsi dall’Eucaristia.
Non vi siete mai chiesti: ma a quante Messe ho già partecipato nella mia vita? Mille? Diecimila? Ma che cosa hanno operato in me? Se ci pensate bene, c’è da prendere la febbre.
Ma capite? Chi una volta sola nella vita s’imbatté in Cristo e gli parlò, lo sentì, mangiò con lui… credete che abbia potuto ancora vivere come prima? Quando penso a quella donna impaurita che gli toccò le frange del mantello con una fede da ottenere il miracolo, io che a Cristo pesto i piedi tutte le volte che vengo a Messa senza che in me si verifichi nemmeno l’ombra di un miracolo, mi dico, lo incontro Cristo o non lo incontro? Non c’è da sospettare che questo stile di comportamento, mio e anche di Cristo, abbia alla radice qualche disfunzione?
Una cosa è certa: finché l’Eucaristia per me è solo bere un bicchiere d’acqua, è naturale che i miracoli non avverranno mai, perché l’incontro tra me e Cristo è di là da venire!
Ecco, allora, diventa estremamente importante che io ponga una viva attenzione ai consigli che mi dà la Chiesa perché la Messa sia per me un fatto vitale.
Il consiglio di "imparare a offrirmi" a Cristo è di una importanza eccezionale. Più scendiamo al pratico più ne afferriamo la portata.
A Messa devo offrirmi! Dice bene la Chiesa: devo imparare a offrirmi perché non è una cosa semplice. Non arriverò mai a farlo bene, a farlo fino in fondo, a farlo con assoluta autenticità. E dovrò riprendere sempre in esame quello che ho fatto, perché ho la maledetta mania congenita di dare a Dio con una mano e di riprendere subito al più presto con l’altra. E’ un’arte difficile offrirsi a Dio, ma devo battere la pista se voglio arrivare in porto, e farmi coerente con la fede.
Prima offrirò il mio fisico.
Credete sia poco? E credete sia possibile? Si, Cristo, ti do il mio fisico, voglio cioè gridarti con tutte le forze che il mio fisico vuole essere un tuo strumento d’azione.
Voglio agire, muovere, operare per te.
L’operaio dirà: "Voglio darti il mio fisico perché tu entri nella mia fabbrica: quanto c’è bisogno di te nel mio reparto! Quasi tutti ti ignorano, chi ti nomina lo fa solo per bestemmiarti! Nessuno sa che tu ami uno per uno i miei compagni, quello bianco e quello rosso, quello buono e quello egoista, nessuno ti conosce. Cristo, io cedo a te la mia persona perché tu, attraverso di me, possa entrare nel mio mondo dove la Chiesa non esiste".
Lo studente dirà: "Cristo, io ti porterò con la mia vita nel mondo della scuola, pieno di gente che ha bisogno di te, dai ragazzi ai docenti. C’è tanto orgoglio nel mio mondo, c’è tanto bisogno di Vangelo".
Offrire il nostro fisico a Cristo è grandioso! Cristo, ti do i miei occhi, sì, i miei occhi. Voglio cioè oggi vedere le cose attraverso di te, vedere gli avvenimenti nella tua luce, considerarli dalla tua angolazione, non dalla mia. Ti offro i miei occhi, perché li voglio aprire bene su di me, sulla mia realtà, sulla mia miseria, sul mio egoismo. Voglio aprirli sugli altri, vedere i bisogni dei fratelli, vedere cosa vogliono mia madre, mio padre, mia sorella . voglio aprire gli occhi, non chiuderli, sui poveri, su quello che mi tocca fare per loro, sui poveri vicini e non vicini.
Voglio aprire gli occhi, non chiuderli, sui poveri di casa mia. Sì, nelle quattro pareti di casa mia ci può essere un povero a cui io non presto attenzione da molto tempo, sarà una persona anziana, o sarà un fratello pesante o scocciatore che mi dà sempre sui nervi quando apre bocca; non posso sopportare le sue pretese, i suoi egoismi, non gli ho mai rivolto una parola di pace da tanto tempo; è il mio povero, il povero di casa mia, anche se a casa mia non manca proprio nulla; il povero "si turno" ce l’hanno tutti in casa.
Signore, ti offro il mio corpo, i miei sensi, tutti. Me li hai dati per comunicare con te e per comunicare coi fratelli; io finora li ho sempre strumentalizzati a me. Voglio piantarla lì, o Signore, li consacro a te, li purifico, consacrandoli a te!
Signore, ti offro la mia lingua! Quanto ha bisogno di essere tua, di essere cristiana e battezzata la mia lingua, perché si inquina di peccato con tanta facilità.
Mi serve al male. Dice il falso, calpesta i fratelli, è uno strumento di ingiustizia che distrugge invece di costruire. Quanto male ho fatto con la mia lingua, ho rovinato anche le persone, ho tradito gli amici. L’ho sporcata d’impurità, l’ho strumentalizzata al male.
Ora te la dono, o Signore, voglio che sia strumento di bene, non di rovina.
Voglio che sia tua. Voglio imparare a seminare pace e mai discordia, a far coraggio, a dare forza, a portare gioia; voglio portare la mia parola buona dove posso, continuamente. E voglio adoperarla per la preghiera, per parlare con te!
Signore, io ti offro la mia lingua perché oggi non esca dalle mie labbra nulla che dispiaccia a te.
La lingua! Un prete operaio mi ha raccontato l’altro giorno: "All’officina hanno assunto un apprendista, un bel ragazzino di sedici anni, vispo, intelligente, mi sembrava anche buono. Sono passati otto giorni. Ora mi fa molta pena quel ragazzo; sono passati otto giorni, non ha ancora imparato a distinguere le chiavi dai ferri dell’officina, ma ha già imparato tutto il linguaggio osceno del nostro ambiente, sa già a memoria tutte le bestemmie che circolano tra di noi e va a gara a far lo scimmiotto dietro gli operai più sboccati".
Il povero apprendista ha le sue colpe di sicuro, perché a sedici anni si può già avere una personalità senza dover scimmiottare tutte le scemenze altrui, ma la colpa grossa è dei meccanici, gente che non ha mai capito che non è lecito vedere la lingua all’istinto della volgarità.
Com’è bello se imparate, a Messa, a consacrare la lingua a Dio per il bene, vietandovi con fermezza ogni strumentalizzazione per il male.
Dopo il fisico c’è da offrire a Dio l’intelligenza, il mondo del vostro pensiero! Che dono spettacolare da fare a Dio! Signore, che il mio pensiero sia tuo, un giardino privilegiato per te, dove tu puoi lavorare, seminare e raccogliere. Sia un terreno libero da sterpi e da pietre d’inciampo. Sia un terreno fecondo, non una palude. Signore, dammi buona volontà a coltivare bene la mia intelligenza.
Ti chiedo che non s’inquini per l’orgoglio, che non si chiuda, che si apra all’ascolto, che sappia accettare la verità da qualunque parte essa provenga, che io sappia imparare da chi mi contrasta, da chi si oppone alle mie vedute.
Per me, operaio cristiano, chiedo di saper imparare dal fratello marxista tutto quello che lo Spirito Santo vuole che impari stando ben ancorato alla Chiesa, perché senza la Chiesa son un povero verme!
Preserva la mia intelligenza dall’orgoglio, la offro a te! Manda i tuoi fertilizzanti alla mia intelligenza: la testimonianza di tanta gente che mi vive vicina e ha tante cose da dirmi, se io so cogliere il loro messaggio.
Da’ a questo giardino che ti appartiene, da’ al mio pensiero il fertilizzante della tua Parola, il fertilizzante della riflessione. Fa’ che io pensi, Signore! Che pensi con la mia testa, non con quella degli altri! Che pensi e lotti contro i pregiudizi! Che pensi anche contro tutto e contro tutti, perché penso con te, o Signore.
Poi offrite la volontà. E’ il dono più duro, quindi il più bello. Signore, voglio volere solo quello che vuoi tu!
Difendimi da ogni borghesismo, da ogni strumentalizzazione, fammi un uomo libero, libero anche da me stesso.
Signore, voglio interrogarmi oggi su tutto ciò che vuoi da me, venirti dietro passa passo, interrogarti, ascoltarti, sentirti in me, negli altri, nei poveri, nella Chiesa. Sentirti e rispondere!
Maria, tu che sei la donna che ha saputo dire il suo sì a Dio, il sì più importante della storia dell’uomo, dammi la capacità oggi, con la tua intercessione, di fare la volontà di Dio in tutto!
Offrite l’amore! Sì, l’amore, il fiore più bello che Dio vi ha messo in cuore!
Voi fidanzati, voi giovani sposi, offrite il vostro amore a Dio nella Messa perché non sia mai inquinato da nessuna bassezza.
Offrite la vostra amicizia. Offrite la capacità di amare che Dio vi ha messo in cuore dandovi lo Spirito santo.
Offrite la vostra vita a Dio.
Questa preghiera la dovreste dire tutti alla Messa: Signore, la mia vita non mi appartiene più, è tua. Lo deve dire il prete, lo deve dire lo sposo, lo devono dire tutti. Non posso vivere come piace a me, devo vivere come piace a te. Signore, accetto le lotte, le contraddizioni, le frustrazioni che vorrai mandare alla mia volontà per purificarla e renderla nuova e bella.
Ecco, è tutto questo imparare a offrire se stessi!
Ora volete accettare una sfida? Questa: provatevi a ubbidire a questo sapiente consiglio della Chiesa quando andate a Messa, provate però a farlo sul serio, anche una sola volta!
Provate un giorno, più giorni, a offrire sul serio a Cristo nell’Eucaristia, poi sarà impossibile che quel giorno, quella settimana viviate una vita vuota, piatta, banale, senza vita!
(di A. GASPARINO, Maestro insegnaci a pregare. EDC. Pag. 247ss.)

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