sabato 7 marzo 2009

CULTURA DELLA VITA E CULTURA DELLA MORTE

da un articolo di GIOVANNI MARTINO


È sotto gli occhi di tutti l’asprezza con cui va montando il dibattito sui temi bioetici,che vede confrontarsi visioni dell’esistenza e della società molto diverse, a volte quasi opposte.
Da una parte c’è la “cultura della vita”, che ha permeato l’identità dell’Occidente cristiano negli ultimi duemila anni. Una cultura che riconosce alla vita una sua dignità intrinseca, in ogni condizione; e che difende la dignità di ogni essere umano, anche il bambino non nato, l’handicappato, il malato terminale.

Dall’altra parte avanza una cultura che lega la dignità della vita non più alla sua sacralità (divina o naturale che la si voglia considerare), bensì alla sua “qualità” (salute, bellezza, piacere). Una dignità ‘condizionata’, insomma. Per cui esisterebbero vite “non degne” di essere vissute.
Qual è il parametro di questa “qualità” della vita? Un parametro molto sfuggente: il desiderio del singolo (o di chi gli sta vicino ed è chiamato a prendersene cura), l’efficienza economica o sociale, la “sostenibilità” ambientale. Potremmo definirla, quindi, “cultura del benessere” (del fitness?).
L’umanissimo desiderio di non soffrire, di migliorare le condizioni della propria vita, degenera insomma nell’utopia di una vita perfetta, alla quale può essere sacrificata la vita concreta (con le sue gioie e i suoi dolori). Se riconosciamo che questa cultura, oggettivamente, si contrappone alla vita, rifiutando quella che può sorgere (contraccezione, sterilizzazione, selezione o manipolazione genetica) o sopprimendo quella già concepita o nata (aborto, libero uso delle droghe, eutanasia), possiamo anche definirla, senza paludamenti – con Giovanni Paolo II -, “cultura della morte”.

ILLUSIONI E PERICOLI CONCRETI DELLA CULTURA DEL BENESSERE:

Non vediamo il pericolo che - in mancanza di paletti chiari - i requisiti per una vita “degna” divengano sempre più stringenti? E che, quindi, sempre più vite possano essere soppresse con sempre maggiore facilità?
Non vediamo il pericolo che le persone possano essere selezionate o pianificate (come un prodotto industriale)?
Non vediamo il pericolo che i soggetti più deboli (anziani, malati, disabili) vengano considerati un peso?

Talora fa capolino l'affermazione che la vita "degna" sia solo quella caratterizzata contemporaneamente da "consapevolezza, coscienza ed autonomia". Ma in questo modo si pongono le basi per l'eugenetica più spietata: significherebbe decidere l'abbattimento di milioni di persone che in tutto il mondo hanno un deficit, magari provvisorio, di queste funzioni, un deficit che spesso viene recuperato con la rieducazione.

Non si tratta, purtroppo, di paure immotivate, perché l’idea che i soggetti deboli non debbano nascere o possano essere lasciati morire non è un’idea nuova, almeno a partire dall’Ottocento (epoca in cui cominciano a diffondersi dottrine che si allontanano dal solco della tradizione cristiana). Nel 1920 apparve un libro dal titolo L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere vissute, di Hoche e Binding. Di qui è stato breve il passo al programma nazista per l'eliminazione di migliaia di pazienti affetti da malattie croniche, o da malattie mentali. L’ordinamento nazionalsocialista è stato l’unico, fino al 1995, ad ammettere l’eutanasia. "La pietà dei saggi è concessa solo alle persone interiormente malate ed in conflitto; questa pietà conosce una sola azione: lasciar morire i malati". Sapete chi è l'autore di queste "pietose" parole? Adolf Hitler...
Per impallidire, però, non c'è bisogno di rievocare il nazismo. Nella "civilissima" e socialdemocratica Svezia, le politiche di sterilizzazione forzata di donne considerate deboli di mente sono durate fino al 1975!

Insomma: se è intaccato un principio, un discrimine, se è abbattuto un paletto (l’intangibilità e indisponibilità della vita), la china discendente è inarrestabile. Si entra in complicati arzigògoli per stabilire dove bisogna fermarsi, quand’è che una vita merita o no di essere vissuta.

Possiamo poi parlare – come vorrebbero i sostenitori della cultura del benessere - di “espansione della libertà”, quando una decisione viene assunta in un momento di sconforto o depressione (malato grave, donna sola)? O quando viene presa per conto della vittima (aborto, eutanasia di minori o di malati non coscienti, sterilizzazione forzata)?

Non vediamo che l’implosione demografica e la paura del futuro stanno conducendo al collasso della civiltà occidentale, con le stesse modalità con cui si esaurirono le civiltà precristiane? (Qualcuno, a dire il vero, questo collasso lo vede e lo auspica...)

CULTURA DEL BENESSERE E ANTIUMANESIMO (LE RADICI DELLA CULTURA DELLA MORTE)

Questa prospettiva ha prevalentemente una matrice utilitaristica.

Un utilitarismo diffuso è quello che considera la vita di una persona solo per la sua capacità di accrescere il benessere (produttività) o di fornire gratificazioni emotive (il figlio al “momento giusto” e “bello, sano, intelligente”, per soddisfare l’istinto paterno/materno).
Di contro, il figlio al momento sbagliato, l’anziano non autosufficiente, il malato costituiscono un impaccio all’uso del tempo libero, alle disponibilità economiche, alla progressione di carriera. Ogni valutazione dell’arricchimento umano e morale che può essere arrecato da chi soffre, o da chi esprime l’imprevisto, sembra del tutto assente (i geni – artisti, scienziati – gravemente malati o nati “per sbaglio”? Non contano).
La sessualità è privata tanto della sua funzione biologica (riproduzione, apertura alla vita) quanto di quella antropologica (amore, dono di sé). Il piacere non è più visto come una dimensione che arricchisce la sessualità, ne esprime la grandezza; piuttosto, diviene l’unica dimensione significativa. (Evidenziare questo significa constatare che, quando la procreazione è vista come un "pericolo", si aprono le porte ad una mentalità ostile alla vita).

Un utilitarismo più elitario, ma che si fa promotore di politiche su larga scala, ritiene che il controllo della popolazione sia necessario a garantire gli assetti sociali ed economici esistenti. Questa prospettiva denuncia un’inesistente esplosione demografica e considera il controllo della popolazione con ogni mezzo la priorità delle politiche internazionali pubbliche (ONU, UE) e private (organizzazioni “umanitarie”).

L’antiumanesimo può anche farsi ideologia, negando apertamente l’eminente dignità dell’essere umano, come nel paganesimo ambientalista.

LA STRATEGIA DELLA CULTURA DELLA MORTE:

Quale che sia la sua matrice – utilitaristica o ideologica – l’antiumanesimo si manifesta con un’azione tenace e coordinata:

- promozione di tutte le pratiche che aggrediscono la vita umana (aborto, contraccezione, sterilizzazione, libero uso delle droghe, selezione o manipolazione genetica, eutanasia);
- uso di tecniche di comunicazione propagandistiche (e spesso menzognere) per la diffusione di queste pratiche (allarmismi infondati sulle conseguenze di una loro mancata diffusione);
- uso di tecniche di comunicazione che sollecitano fattori istintuali ed emotivi (testimonials famosi, tecniche pubblicitarie, solleticamento delle pulsioni istintive);
- uso di tecniche di comunicazione che manipolano il linguaggio; contemporaneamente si tenta di imporre tale linguaggio manipolato, pretendendo che sia l’unico "politicamente corretto";
- uso di strategie subdole per la diffusione delle pratiche contro la vita, come la cosiddetta “strategia del salame”: si invoca l’eccezione al principio, quindi la moltiplicazione delle eccezioni, fino a far sparire – fetta dopo fetta – tutto il principio, e ottenere una larga diffusione di quelle pratiche. Appartengono a questa strategia le teorie del "male minore", della “riduzione del danno”, della tutela nel “caso limite”, del fine che giustifica i mezzi (una variante è quella di avanzare inizialmente richieste estremistiche, per far apparire all'opinione pubblica lo spostamento verso la pratiche contro la vita - la prima fetta di salame tagliata - come un accettabile compromesso);
- capovolgimento del senso comune: richiesta di tutela giuridica come “diritti” di quelli che sinora erano considerati delitti. In particolare, si parla di “diritti civili”, intesi non tanto come generici diritti di cittadinanza, quanto come nuovi diritti che trovano un fondamento esclusivo nella legislazione, deviando dal tradizionale radicamento nel diritto naturale;
- invocazione ambivalente, a seconda della convenienza del momento, ora della “sovranità popolare” ora della “legalità internazionale” (pressioni esplicite sui governi da parte di organismi internazionali) o della “legalità costituzionale” (decisioni adottate dalla magistratura o da organi amministrativi e contrastanti con le leggi approvate dal popolo);
- invocazione ambivalente del rispetto della "privacy": si pretende di confinare nella sfera privata materie che hanno evidente rilevanza pubblica, e al tempo stesso si invocano provvedimenti legislativi e/o giudiziarî che impongano la realizzazione dei cosiddetti "diritti civili";
- riduzione violenta di ogni spazio di opposizione: chi contesta i nuovi “diritti civili” è un intollerante; negazione dell’obiezione di coscienza;
- promozione di quelle dottrine filosofiche (relativismo), antropologiche (femminismo antimaterno, teoria del gender) e parascientifiche (darwinismo, ambientalismo) che negano l’originalità e il primato dell’essere umano e ostacolano la trasmissione della vita;
- azione di indebolimento della famiglia, il nucleo fondamentale per la trasmissione della vita e l’educazione dei figli;
- azione di contrasto e di denigrazione del cristianesimo (la religione del Dio fattosi uomo) e della Chiesa cattolica (considerata la principale agenzia di contrasto delle politiche antiumaniste);
- saldatura con interessi economici forti, che mirano ai finanziamenti pubblici sulla ricerca biomedica e farmaceutica (e in particolare su quei filoni improduttivi che non otterrebbero denaro senza pressioni politiche), ai profitti da brevetti biomedici, ai profitti da prodotti farmaceutici legati ad azioni invasive sul corpo della donna;
- saldatura con lobbies compatte e capaci di grande mobilitazione

per l'articolo completo:

http://www.europaoggi.it/content/view/1793/45/

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