mercoledì 8 luglio 2009

IL COMANDAMENTO DELLA GIOIA di Don Gabriele Burani


PER IL CRISTIANO LA GIOIA NON E' UN INVITO....E' UN COMANDO!

LA TRISTEZZA E' UN VIZIO CAPITALE, E' UNA FORMA DI EGOISMO

FILIPPESI 4,1

Perciò fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
[4.4] Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto. Siate lieti. [4.5] La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! [4.6] Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti. [4.7] E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
[4.8] In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. [4.9] Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele. E il Dio della pace sarà con voi!


Kaìrete èn Kurio siate lieti, rallegratevi, gioite. È il verbo dei saluto dell'angelo a Maria all'annunciazione. È qui un saluto, un invito, un augurio? No, è un comando; è all'imperativo, e si ripete (anche 2,18, 3,1). Paolo è prigioniero e dà il comandamento della gioia. Uno degli aspetti della genialità spirituale di Paolo è il comando di gioire; la gioia non solo come esito di attività che ben riuscite o di successi, né solo come stato emotivo, né come dato di temperamento.
Se scrive "sempre" vuol dire che è una gioia non motivata in modo naturale: gli avvenimenti esterni cambiano, lo stato emotivo cambia. Certo, la gioia è un dono del Signore ma è anche uno stato da ricercare, da conquistare con impegno, c'è un comando. Come ci sono comandi ad amare, a perdonare, a pregare, a non mentire....

Quanti motivi avrebbe Paolo per non essere nella gioia? È in catene, è solo, ha molti nemici, ha sofferto fisicamente in molte occasioni; si arrabbia facilmente, è scontento per le sue comunità... eppure parla di gioia, anzi comanda la gioia; è un dovere custodire la gioia. Non si tratta di un banale essere allegri e spensierati, di non considerare il male...
Si tratta piuttosto di considerare che nulla, nemmeno la prigione (1,12, può togliere la gioia cristiana di cui parla Paolo. Nessun problema esterno, nessun ostacolo, nessuna persecuzione, nessuna povertà, neppure gli stati d'animo o il temperamento personale.... ci si può e ci si deve educare alla gioia in ogni situazione. Per questo Paolo ha un comando, perché è possibile realizzarlo.

PAOLO DEFINISCE LA GIOIA CRISTIANA

Lieti nel Siqnore La gioia è dono del Signore, ma è un vivere IN Cristo risorto, è un essere uniti o Cristo, è un vivere in lui. Chi vive unito a Gesù, partecipo della vita di Gesù, partecipo della gioia dei Risorto. Lieti NEL Signore, vivendo in lui. E se sono in Gesù, nulla può distruggere la gioia perché nulla può distruggere il suo amore per me, nulla può distruggere il Cristo risorto.

Paolo ha sempre nel cuore l'esperienza di un Gesù che gli ha trasformato l'esistenza e la riempie di gioia profonda.

Siate lieti sempre:

È una gioia continua, che richiede anche un impegno costante. Dobbiamo combattere le tentazioni, come la tentazione della tristezza, che è uno dei vizi capitali, secondo Evagrio Pontico. Non mancano tante minacce alla gioia, momenti di sconforto: non dobbiamo fissarci sui pensieri negativi, non indulgere alla autocommiserazione che è una comoda via di fuga dagli impegni; non lasciare che la tristezza prenda possesso della vita. È un male, un vizio; è una forma di egoismo perché è avere la mente puntata su se stessi più che sugli altri e sul Signore.
È molto ricco questo comando: la gioia stabile significa che non sono gli avvenimenti esterni che ci determinano, né i nostri sentimenti. La vita cristiana è libertà, é molto affascinante.

Gioia e carità.

Amabilità, affabilità nota a tutti, scrive Paolo. Una vita amorevole che è nota a tutti, nel senso che lo stile mite, l'amore, si diffonde come un profumo. Lo si capisce bene: la gioia è un sentimento estroverso, verso l'altro da sé, un sentimento estatico; Dio è nella gioia perché ogni persona divina è rivolta alle altre. Quando c'è amore c'è gioia, e la cura per vivere nella gioia è la carità; chi non è nella gioia è un peso per gli altri, tende a farsi servire invece di servire, cioè si presenta come un problema, uno che manca e si appella agli altri. ( Non è un giudizio morale, è condizione esistenziale inizialmente). Chi manca di gioia impone un peso agli altri e questa è una mancanza di carità.
E lo stile triste e depresso è un puntare l'attenzione su stessi più che sugli altri.

Gioia e umiltà

A volte un considerarsi troppo importanti, un mettersi troppo al centro della attenzione, a volte manifesta un avere pretese, un essere permalosi. Chi è poco umile accumula una serie infinita di motivi per cui essere alterato, arrabbiato, scontroso, triste....

II Signore è vicino:

Il Signore viene, il pensiero della 'parusia' è certamente un motivo di gioia. Come credenti trasmettiamo questo alle persone: il Signore è vicino, è vicino a te, alle tue sofferenze, ai tuoi guai, è vicino alla tua vita. Non temere. Con la sua vita il cristiano incarna la fiducia escatologica.
Paolo non comanda solo la gioia, ma un nuovo comportamento; la gioia cristiana si esprime nella bontà dei credenti, nella capacità di accoglienza.

Rifletti sul tuo modo di irradiarti all'esterno. Non puoi modificarti continuamente su comando ma puoi renderti conto dei sentimenti che di volta in volta ti condizionano, di quanto spazio concedi al risentimento, alla insoddisfazione, alla amarezza, e di quante possibilità crei alla gioia e alla bontà di espandersi al tuo interno e di irradiarsi al di fuori.

Non angustiatevi per nulla.


(meden merimnate) Non preoccupatevi di nulla. È il verbo che ritroviamo nel brano di Marta e Maria (Lc 10,38-42) e che caratterizza Marta, presa dalle molte occupazioni, agitata e distratta rispetto al Signore presente. II contenuto è affine a quello di Mt 6,25: "non preoccupatevi per la vostra vita...". La "amerimnla" cioè l'assenza di preoccupazioni, è una virtù cristiana, testimonia la fede del credente che vive nella attesa dell'incontro con il Signore. Le preoccupazioni sono quelle riguardanti (a vita quotidiana e che possono dividere il nostro cuore; noi aspiriamo ad avere un cuore unito al Signore, senza distrazioni e le preoccupazioni sono questo, sono ciò che ci distrae dal Signore. Non è il lavoro, la fatica per la missione che ci distrae, non è l'occupazione ma la pre-occupazione, è la agitazione, è l'avere il cuore diviso, è l'affanno.
Lavorare, faticare, spenderci ma senza angustiarci, senza affanno: è testimonianza di fede, di abbandono in Dio; il cristiano è chiamato alla pace. II carisma della presidenza richiede la capacità di creare unione, pace tra le persone, di armonizzare i carismi; ma chi ha il cuore diviso (e questo è il dono grande del celibato, avere unità interiore), chi vive in affanno, chi affoga nelle preoccupazioni, facilmente crea un clima di contrasto intorno a sé, crea tensione.
Cosa scrive infatti Paolo? ma in ogni circostanza fate presenti o Dio le vostre richieste, con preghiere_ suppliche e ringraziamenti. La fede viene vissuta nella preghiera, la preghiera è abbandono fiducioso in Dio, è trovare la pace interiore, nel senso di una interiorità non frammentata. Chi è in pace con Dio e con se stesso trasmette pace intorno; chi è unito nel suo cuore tende a creare unione negli altri.
In sostanza, le situazioni che affrontiamo nella nostra vita quotidiana sono problematiche, possono generare affanni, e preoccupazioni ma il dialogo continuo con il Signore ci permette di vivere in questo mondo, con libertà, trasmettendo pace.

E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

v. 8 Otto qualità: una sintesi etica da ricordare. Non sono qualità caratteristiche del cristiano, sono una lista vicina alla filosofia stoica, qualità 'umane' in senso generale. Questo non ci conduce ad affermare che se uno è un buon uomo, onesto, è già cristiano; Paolo si rivolge a persone già cristiane, con una esplicita fede in Gesù, e le conseguenze che ne derivano. Ma Paolo ci fa capire che la vita cristiana è una vita di pienezza umana. II cristiano è un segno nel mondo di una umanità realizzata in pienezza, una umanità ricca, bella, e anche per questo felice. Una persona nobile, leale, veritiera, pura, giusta... conduce una vita bella, rispettabile, lodevole dal punto di vista umano.
II cristiano si contrappone alla mondanità, che in fondo coincide con le varie forme di idolatria, ma vive su questa terra una vita felice perché virtuosa, bella.
Gesù ha vissuto una umanità bella, vera, gioiosa e così il cristiano può vivere la sua vita come un capolavoro di umanità.
E direi, il prete in particolare, come pastore, come'maestro', è chiamato ad una vita umanamente bella, in quanto vita spirituale. Siamo chiamati ad una vita virtuosa, nobile, autentica; ad una vita umanamente ricca, che dà soddisfazione. Non è un male se viviamo da preti con soddisfazione, se sappiamo apprezzare i valori, le realtà terrene, se abbiamo anche amicizie belle.
Se invece di un prete perennemente indaffarato, teso, svuotato, sacrificato i parrocchiani vedono un prete sereno, pacificato, felice di fare quello che fa, non è una cattiva testimonianza.
II fatto di considerare la vocazione al sacerdozio, che rimane chiamato di Dio, e l'essere disponibili, da parte dei giovani, è certamente legato al nostro modo di vivere. Se siamo felici nella nostra vita da consacrati, diamo una testimonianza, e anche nasce in noi un desiderio di 'fecondità', come una coppia che vive con gioia l'amore di coppia, è portata alla, fecondità.

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